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Porfiria epatica acuta, l'anti Rna givosiran riduce gli attacchi acuti. Prima terapia preventiva #EASL2019
Domenica 14 Aprile 2019 di Davide Cavaleri Emilia Vaccaro
Nei pazienti con porfiria epatica acuta il farmaco sperimentale givosiran ha raggiunto l'endpoint primario di riduzione degli attacchi di porfiria rispetto al placebo e una riduzione significativa dell’acido aminolevulinico urinario, una delle cause principali degli attacchi. È quanto emerge dai risultati preliminari dello studio di fase III ENVISION presentati al congresso della European Association For The Study Of The Liver (EASL) 2019 che si è tenuto a Vienna, in Austria.
I pazienti trattati con givosiran hanno presentato un tasso medio composito annualizzato di 3,2 attacchi contro i 12,5 attacchi di quelli sottoposti a placebo (p<0,0001), con una riduzione media del 74%, hanno riferito Manisha Balwani della Mount Sinai School of Medicine di New York City e colleghi.
«Abbiamo visto un effetto terapeutico robusto», ha detto Balwani. «Al momento non ci sono terapie approvate per la prevenzione degli attacchi dolorosi, spesso invalidanti, e i sintomi cronici associati ala porfiria epatica acuta. Givosiran ha ottenuto risultati promettenti grazie a una riduzione degli attacchi e un miglioramento dello stato di salute generale e della qualità della vita riferiti dai pazienti».
Una nuova terapia sperimentale per la porfiria
Givosiran è un farmaco sperimentale per il trattamento della porfiria epatica acuta basato sulla tecnica della Rna interference, a somministrazione sottocutanea, che ha come target l’enzima acido aminolevulinico sintasi 1 (AlaS1).
La riduzione sostenuta dei livelli di AlaS1 epatico indotti dalla malattia si traduce una diminuzione fino a livelli quasi normali degli intermedi neurotossici dell'eme, l'acido aminolevulinico (Ala) e il porfobilinogeno (Pbg). In questo modo givosiran può potenzialmente prevenire o ridurre l'insorgenza di attacchi gravi e pericolosi per la vita, tenere sotto controllo i sintomi cronici e ridurre il carico della malattia.
«Il farmaco a oggi utilizzato, l’arginato di eme, è efficace negli attacchi acuti ma ha una durata di tempo limitata, quindi nei malati che hanno crisi ricorrenti è necessario instaurare una terapia di mantenimento con arginato di eme che però può essere gravata da effetti collaterali importanti. Per esempio è necessario il posizionamento di un accesso venoso centrale, possono insorgere problemi a livello venoso e anche trombosi e, col tempo, anche un accumulo di ferro a livello epatico» ha dichiarato ai microfoni di Pharmastar il professor Paolo Ventura, del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell'Adulto - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nonchè segretario del Gruppo Italiano Porfiria e membro del board European Porphyria Network.
«Givosiran è un farmaco completamente innovativo, ha continuato, che agisce modulando l’iperespressione di un enzima che è tipicamente iper-espresso, con conseguente riduzione dell’accumulo di sostanze tossiche. A differenza dell’arginato di eme, che vieneè somministrato per via endovenosa, questo nuovo farmaco è somministrato sottocute, quindi senza necessità di accesso venoso centrale»
«Inoltre non comporta nessun accumulo di ferro perché non contiene eme e soprattutto ha una durata d’azione molto prolungata, per cui una singola somministrazione sembrerebbe in grado di riuscire a modulare e ad agire in maniera positiva per un tempo prolungato anche di un mese, un mese e mezzo. Questo è quanto emerge dai dati presentati al congresso ILC 2019, a cui abbiamo partecipato anche noi, e se verranno confermati sono molto positivi», ha precisato.
«E’ importante proseguire con l’osservazione perché il meccanismo d’azione innovativo va valutato attentamente nel lungo periodo. Da quello che vedo nei miei pazienti, questo tipo di approccio potrebbe cambiare la loro vita in maniera significativa e importante» ha sottolineato Ventura.
A seguito dei risultati della sperimentazione, l’azienda biotech Alnylam Pharmaceuticals di Cambridge, Massachusetts, che lo sta sviluppando, ha comunicato l’intenzione di completare la sottomissione della New Drug Application (Nda) alla Fda e di richiedere l’autorizzazione all'immissione in commercio all’Ema intorno alla metà del 2019. Il farmaco ha ottenuto la designazione di terapia innovativa da parte della Fda e la designazione PRIME dall'Ema, oltre a quella di farmaco orfano per il trattamento della porfiria epatica acuta da entrambi gli enti.
Cos’è la porfiria epatica acuta
È il termine usato per definire una famiglia di malattie genetiche rare, caratterizzate da attacchi potenzialmente letali e, in alcuni pazienti, da sintomi debilitanti cronici che influiscono negativamente sulle attività quotidiane e sulla qualità della vita. La porfiria epatica acuta comprende quattro sottotipi, ciascuno risultante da un difetto genetico che porta alla deficienza di uno degli enzimi coinvolti nella biosintesi epatica dell’eme: porfiria intermittente acuta, coproporfiria ereditaria, porfiria variegata e porfiria da deficit di delta-aminolevulinico deidratasidi (AlaD).
«Le porfirie acute sono un gruppo di patologie dovute a un’anomalia del metabolismo dell’eme in cui si accumulano una serie di metaboliti tossici che hanno la caratteristica di essere neurotossici (acido aminolevulinico e porfobilinogeno)» ha spiegato Ventura.
«Quando questo accumulo è elevato, ha aggiunto, determina una serie di segni e sintomi che si concretizzano nell’attacco porfirico acuto, che è un insieme di sintomi caratterizzati prevalentemente da fortissimi dolori addominali e interessamento neurologico, con dolore che inizia alle radici degli arti e che può determinare anche alterazioni della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e dello stato mentale, fino al delirio».
«Se la malattia non viene trattata in tempo o viene trattata con farmaci che possono alterare ancora di più il quadro clinico, il paziente può peggiorare con paresi, paralisi e coma, fino al decesso per arresto respiratorio» ha concluso Ventura.
La natura non specifica dei segni e dei sintomi della malattia può portare spesso a diagnosi errate come la sindrome dell'intestino irritabile, l'appendicite, la fibromialgia e l'endometriosi e, di conseguenza, i pazienti affetti da porfiria restano sovente non diagnosticati anche per 15 anni.
Inoltre, le complicanze a lungo termine della malattia e il suo trattamento possono includere dolore neuropatico cronico, ipertensione, malattia renale cronica e malattie del fegato come fibrosi, cirrosi e carcinoma epatocellulare. Attualmente non ci sono trattamenti approvati per prevenire gli attacchi debilitanti o per curare le manifestazioni croniche della malattia.
Il trial clinico in corso
ENVISION è uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo in pazienti con porfiria epatica acuta per valutare l'efficacia di givosiran 2,5 mg/kg sottocute una volta al mese rispetto al placebo sul numero di attacchi nel corso di 6 mesi. La data prevista per il completamento dello studio è settembre 2021.
I pazienti eleggibili dovevano avere almeno 12 anni di età, una diagnosi di porfiria epatica acuta e una storia di almeno due attacchi nei 6 mesi precedenti l'arruolamento. Durante lo studio non potevano essere sottoposti a profilassi con emina, un derivato dell’emoglobina. L'endpoint primario era il tasso di attacchi annualizzati che richiede il ricovero in ospedale, assistenza urgente o somministrazione domiciliare di emina. Gli endpoint secondari includevano sicurezza/tollerabilità, livelli di Ala e Pbg, sintomi e qualità della vita.
In totale sono stati arruolati 94 pazienti in 18 paesi e in 36 siti, mentre l'analisi ad interim del gruppo di sicurezza e di Ala urinario, un biomarcatore in grado di predire il beneficio clinico, ha riguardato 43 pazienti. Di questi, 41 avevano porfiria intermittente acuta, uno aveva porfiria variegata e uno aveva coproporfiria ereditaria; 23 sono stati randomizzati a givosiran e 20 a placebo.
«Si trattava di pazienti molto malati», ha spiegato Balwani. «Al momento dell’arruolamento presentavano una media di 4 attacchi in 6 mesi al basale. Il 40% stava ricevendo una profilassi con emina, eppure continuavano ad avere attacchi, circa il 30% stava assumendo regolarmente oppioidi e metà di loro aveva un dolore cronico quotidiano tra un attacco e l’altro».
Riduzione degli attacchi e dei parametri biochimici
I dati presentati al congresso hanno mostrato che metà dei pazienti trattati con givosiran non ha avuto attacchi di porfiria durante il periodo di studio, rispetto al 16,3% di quelli sottoposti a placebo. Inoltre, il trattamento con givosiran è stato associato a una riduzione del 92% nell’AlaS1 e una riduzione dell'89% di AlaS1 e Pbg.
«Givosiran rappresenta un approccio terapeutico innovativo e mirato che ha il potenziale per avere un impatto significativo sulla vita dei pazienti che stanno lottando contro i sintomi disabilitanti di questa malattia», ha affermato Balwani, anche se, ha aggiunto, nei pazienti con precedente uso di oppiacei non ha migliorato gli esiti in misura significativa.
Migliore qualità della vita riferita dai pazienti
Gli eventi avversi si sono verificati più spesso nei pazienti trattati con givosiran, compresi alti livelli di enzimi epatici, ma sei dei sette pazienti con livelli di enzimi pari a tre volte il limite superiore del normale erano ancora in grado di continuare con il trattamento. Cinque soggetti hanno avuto una malattia renale cronica, che in quattro casi era già stata diagnosticata prima dello studio.
Nessun paziente ha dovuto sospendere il trattamento per via degli effetti collaterali renali, nessuno è diventato sintomatico e 93 su 94 hanno scelto di continuare la terapia in una estensione in aperto dello studio della durata di 30 mesi.
Nel complesso i pazienti trattati con givosiran hanno riportato un miglioramento della qualità di vita. «I maggiori miglioramenti nello stato di salute generale sono stati riportati dai pazienti trattati con givosiran rispetto ai controlli sulla base del Patients Global Impression of Change», ha detto Balwani. «I pazienti trattati con givosiran hanno anche riportato una maggiore capacità di gestire le attività della vita quotidiana e hanno avuto, nel complesso, una soddisfazione di trattamento maggiore rispetto al gruppo placebo dopo 6 mesi».
Balwani M et al. ENVISION, a phase 3 study to evaluate efficacy and safety of givosiran, an investigational RNAi therapeutic targeting aminolevulinic acid synthase 1, in acute hepatic porphyria patients. EASL 2019; Abstract GS3.
I pazienti trattati con givosiran hanno presentato un tasso medio composito annualizzato di 3,2 attacchi contro i 12,5 attacchi di quelli sottoposti a placebo (p<0,0001), con una riduzione media del 74%, hanno riferito Manisha Balwani della Mount Sinai School of Medicine di New York City e colleghi.
«Abbiamo visto un effetto terapeutico robusto», ha detto Balwani. «Al momento non ci sono terapie approvate per la prevenzione degli attacchi dolorosi, spesso invalidanti, e i sintomi cronici associati ala porfiria epatica acuta. Givosiran ha ottenuto risultati promettenti grazie a una riduzione degli attacchi e un miglioramento dello stato di salute generale e della qualità della vita riferiti dai pazienti».
Una nuova terapia sperimentale per la porfiria
Givosiran è un farmaco sperimentale per il trattamento della porfiria epatica acuta basato sulla tecnica della Rna interference, a somministrazione sottocutanea, che ha come target l’enzima acido aminolevulinico sintasi 1 (AlaS1).
La riduzione sostenuta dei livelli di AlaS1 epatico indotti dalla malattia si traduce una diminuzione fino a livelli quasi normali degli intermedi neurotossici dell'eme, l'acido aminolevulinico (Ala) e il porfobilinogeno (Pbg). In questo modo givosiran può potenzialmente prevenire o ridurre l'insorgenza di attacchi gravi e pericolosi per la vita, tenere sotto controllo i sintomi cronici e ridurre il carico della malattia.
«Il farmaco a oggi utilizzato, l’arginato di eme, è efficace negli attacchi acuti ma ha una durata di tempo limitata, quindi nei malati che hanno crisi ricorrenti è necessario instaurare una terapia di mantenimento con arginato di eme che però può essere gravata da effetti collaterali importanti. Per esempio è necessario il posizionamento di un accesso venoso centrale, possono insorgere problemi a livello venoso e anche trombosi e, col tempo, anche un accumulo di ferro a livello epatico» ha dichiarato ai microfoni di Pharmastar il professor Paolo Ventura, del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell'Adulto - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nonchè segretario del Gruppo Italiano Porfiria e membro del board European Porphyria Network.
«Givosiran è un farmaco completamente innovativo, ha continuato, che agisce modulando l’iperespressione di un enzima che è tipicamente iper-espresso, con conseguente riduzione dell’accumulo di sostanze tossiche. A differenza dell’arginato di eme, che vieneè somministrato per via endovenosa, questo nuovo farmaco è somministrato sottocute, quindi senza necessità di accesso venoso centrale»
«Inoltre non comporta nessun accumulo di ferro perché non contiene eme e soprattutto ha una durata d’azione molto prolungata, per cui una singola somministrazione sembrerebbe in grado di riuscire a modulare e ad agire in maniera positiva per un tempo prolungato anche di un mese, un mese e mezzo. Questo è quanto emerge dai dati presentati al congresso ILC 2019, a cui abbiamo partecipato anche noi, e se verranno confermati sono molto positivi», ha precisato.
«E’ importante proseguire con l’osservazione perché il meccanismo d’azione innovativo va valutato attentamente nel lungo periodo. Da quello che vedo nei miei pazienti, questo tipo di approccio potrebbe cambiare la loro vita in maniera significativa e importante» ha sottolineato Ventura.
A seguito dei risultati della sperimentazione, l’azienda biotech Alnylam Pharmaceuticals di Cambridge, Massachusetts, che lo sta sviluppando, ha comunicato l’intenzione di completare la sottomissione della New Drug Application (Nda) alla Fda e di richiedere l’autorizzazione all'immissione in commercio all’Ema intorno alla metà del 2019. Il farmaco ha ottenuto la designazione di terapia innovativa da parte della Fda e la designazione PRIME dall'Ema, oltre a quella di farmaco orfano per il trattamento della porfiria epatica acuta da entrambi gli enti.
Cos’è la porfiria epatica acuta
È il termine usato per definire una famiglia di malattie genetiche rare, caratterizzate da attacchi potenzialmente letali e, in alcuni pazienti, da sintomi debilitanti cronici che influiscono negativamente sulle attività quotidiane e sulla qualità della vita. La porfiria epatica acuta comprende quattro sottotipi, ciascuno risultante da un difetto genetico che porta alla deficienza di uno degli enzimi coinvolti nella biosintesi epatica dell’eme: porfiria intermittente acuta, coproporfiria ereditaria, porfiria variegata e porfiria da deficit di delta-aminolevulinico deidratasidi (AlaD).
«Le porfirie acute sono un gruppo di patologie dovute a un’anomalia del metabolismo dell’eme in cui si accumulano una serie di metaboliti tossici che hanno la caratteristica di essere neurotossici (acido aminolevulinico e porfobilinogeno)» ha spiegato Ventura.
«Quando questo accumulo è elevato, ha aggiunto, determina una serie di segni e sintomi che si concretizzano nell’attacco porfirico acuto, che è un insieme di sintomi caratterizzati prevalentemente da fortissimi dolori addominali e interessamento neurologico, con dolore che inizia alle radici degli arti e che può determinare anche alterazioni della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e dello stato mentale, fino al delirio».
«Se la malattia non viene trattata in tempo o viene trattata con farmaci che possono alterare ancora di più il quadro clinico, il paziente può peggiorare con paresi, paralisi e coma, fino al decesso per arresto respiratorio» ha concluso Ventura.
La natura non specifica dei segni e dei sintomi della malattia può portare spesso a diagnosi errate come la sindrome dell'intestino irritabile, l'appendicite, la fibromialgia e l'endometriosi e, di conseguenza, i pazienti affetti da porfiria restano sovente non diagnosticati anche per 15 anni.
Inoltre, le complicanze a lungo termine della malattia e il suo trattamento possono includere dolore neuropatico cronico, ipertensione, malattia renale cronica e malattie del fegato come fibrosi, cirrosi e carcinoma epatocellulare. Attualmente non ci sono trattamenti approvati per prevenire gli attacchi debilitanti o per curare le manifestazioni croniche della malattia.
Il trial clinico in corso
ENVISION è uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo in pazienti con porfiria epatica acuta per valutare l'efficacia di givosiran 2,5 mg/kg sottocute una volta al mese rispetto al placebo sul numero di attacchi nel corso di 6 mesi. La data prevista per il completamento dello studio è settembre 2021.
I pazienti eleggibili dovevano avere almeno 12 anni di età, una diagnosi di porfiria epatica acuta e una storia di almeno due attacchi nei 6 mesi precedenti l'arruolamento. Durante lo studio non potevano essere sottoposti a profilassi con emina, un derivato dell’emoglobina. L'endpoint primario era il tasso di attacchi annualizzati che richiede il ricovero in ospedale, assistenza urgente o somministrazione domiciliare di emina. Gli endpoint secondari includevano sicurezza/tollerabilità, livelli di Ala e Pbg, sintomi e qualità della vita.
In totale sono stati arruolati 94 pazienti in 18 paesi e in 36 siti, mentre l'analisi ad interim del gruppo di sicurezza e di Ala urinario, un biomarcatore in grado di predire il beneficio clinico, ha riguardato 43 pazienti. Di questi, 41 avevano porfiria intermittente acuta, uno aveva porfiria variegata e uno aveva coproporfiria ereditaria; 23 sono stati randomizzati a givosiran e 20 a placebo.
«Si trattava di pazienti molto malati», ha spiegato Balwani. «Al momento dell’arruolamento presentavano una media di 4 attacchi in 6 mesi al basale. Il 40% stava ricevendo una profilassi con emina, eppure continuavano ad avere attacchi, circa il 30% stava assumendo regolarmente oppioidi e metà di loro aveva un dolore cronico quotidiano tra un attacco e l’altro».
Riduzione degli attacchi e dei parametri biochimici
I dati presentati al congresso hanno mostrato che metà dei pazienti trattati con givosiran non ha avuto attacchi di porfiria durante il periodo di studio, rispetto al 16,3% di quelli sottoposti a placebo. Inoltre, il trattamento con givosiran è stato associato a una riduzione del 92% nell’AlaS1 e una riduzione dell'89% di AlaS1 e Pbg.
«Givosiran rappresenta un approccio terapeutico innovativo e mirato che ha il potenziale per avere un impatto significativo sulla vita dei pazienti che stanno lottando contro i sintomi disabilitanti di questa malattia», ha affermato Balwani, anche se, ha aggiunto, nei pazienti con precedente uso di oppiacei non ha migliorato gli esiti in misura significativa.
Migliore qualità della vita riferita dai pazienti
Gli eventi avversi si sono verificati più spesso nei pazienti trattati con givosiran, compresi alti livelli di enzimi epatici, ma sei dei sette pazienti con livelli di enzimi pari a tre volte il limite superiore del normale erano ancora in grado di continuare con il trattamento. Cinque soggetti hanno avuto una malattia renale cronica, che in quattro casi era già stata diagnosticata prima dello studio.
Nessun paziente ha dovuto sospendere il trattamento per via degli effetti collaterali renali, nessuno è diventato sintomatico e 93 su 94 hanno scelto di continuare la terapia in una estensione in aperto dello studio della durata di 30 mesi.
Nel complesso i pazienti trattati con givosiran hanno riportato un miglioramento della qualità di vita. «I maggiori miglioramenti nello stato di salute generale sono stati riportati dai pazienti trattati con givosiran rispetto ai controlli sulla base del Patients Global Impression of Change», ha detto Balwani. «I pazienti trattati con givosiran hanno anche riportato una maggiore capacità di gestire le attività della vita quotidiana e hanno avuto, nel complesso, una soddisfazione di trattamento maggiore rispetto al gruppo placebo dopo 6 mesi».
Balwani M et al. ENVISION, a phase 3 study to evaluate efficacy and safety of givosiran, an investigational RNAi therapeutic targeting aminolevulinic acid synthase 1, in acute hepatic porphyria patients. EASL 2019; Abstract GS3.