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Le malattie epatiche autoimmuni possono essere innescate da fattori ambientali? #EASL2019


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Le malattie epatiche autoimmuni possono essere innescate da fattori ambientali? #EASL2019

Venerdi 19 Aprile 2019  Davide Cavaleri 

Secondo un ampio studio basato sulla popolazione condotto nel nord dell'Inghilterra, l'esposizione a “trigger” ambientali persistenti e di basso livello potrebbe aver avuto un ruolo nello sviluppo di alcune malattie autoimmuni del fegato all'interno di questo gruppo. I risultati sono stati presentati al congresso della European Association For The Study Of The Liver (EASL) 2019 che si è tenuto a Vienna, in Austria. 

Lo studio ha riscontrato un significativo raggruppamento di casi di tre malattie autoimmuni, la colangite biliare primitiva, l’epatite autoimmune e la colangite sclerosante primitiva, in regioni ben definite del nord-est dell'Inghilterra e del nord della Cumbria, una contea situata nel nord-ovest del paese, suggerendo che nel loro sviluppo potrebbero essere coinvolti uno o più agenti ambientali. 
Si tratta di patologie relativamente rare e sono associate a morbilità e mortalità significative. Colpiscono persone di tutte le età e sono condizioni croniche, che durano per tutta la vita. «L'eziologia delle malattie autoimmuni del fegato è complessa: ci sono alcune componenti genetiche, ma si ritiene sempre più che ci sia interazione tra la genetica e fattori ambientali», ha detto Jessica Dyson, dell’Università di Newcastle (UK), durante la presentazione dei dati al congresso. 

Intervistato da Pharmastar, il professor Marco Marzioni dell'Università Politecnica delle Marche, Ancona, e membro del consiglio di amministrazione dell’EASL ha fatto presente che «considerato l’aumento negli ultimi anni dell’incidenza e della prevalenza un po’ di tutte le malattie autoimmunitarie, ma in particolar modo di quelle del fegato, oltre ai cambiamenti radicali dei fattori ambientali a cui siamo stati esposti negli ultimi 50 anni, è intuibile che vi sia una possibile correlazione tra quello che respiriamo, mangiamo e beviamo e lo sviluppo di questo tipo di malattie». 

Casi insolitamente elevati in aree geografiche specifiche 
Precedenti studi di clustering della malattia, una valutazione epidemiologica che facilita l'identificazione di raggruppamenti (cluster) di casi in determinate aree e che ha lo scopo di identificare una causa di malattia, hanno permesso di identificare un numero anormalmente elevato di casi di colangite biliare primitiva in una regione geografica ben definita, ovvero due aree dell'Inghilterra settentrionale e di New York. Invece riguardo all’epatite autoimmune e alla colangite sclerosante primitiva secondo i ricercatori non sono ancora state eseguite ricerche di questo tipo. 

«Lo studio presentato dai colleghi inglesi ha preso in considerazione soprattutto la colangite biliare primitiva, ma anche le epatiti autoimmuni, che sono in effetti le più comuni tra le malattie autoimmunitarie del fegato. Tra queste vanno ricordate anche la colangite sclerosante primitiva e una malattia caratterizzata più di recente, la colangite da IGG4, che è associata molto probabilmente a inquinanti come sostanze chimiche o, secondo alcuni, ai diesel industriali o impiegati in agricoltura» ha continuato Marzioni. 

«La ricerca ha il merito di aver caratterizzato molto bene i pazienti e di aver compreso le differenze tra i diversi stadi delle malattie, in modo da poter rendere confrontabili pazienti e controlli, riuscendo a discriminare che la differenza tra chi sviluppava la malattia e chi no erano dei fattori ambientali, verosimilmente degli inquinanti». 

Lo studio dell’Università di Newcastle 
Lo studio presentato a Vienna è stato condotto da un team di ricercatori di Newcastle, nel nord dell'Inghilterra, supportato dal National Institute for Health Research Newcastle Biomedical Research Centre. 

Il team ha identificato un'ampia coorte di individui provenienti dall'Inghilterra nord-orientale e dalla Cumbria settentrionale che presentavano un numero elevato di casi delle tre patologie e ha esaminato se vi fosse un raggruppamento spaziale e/o temporale di queste malattie. 

Marzioni ha spiegato che «i ricercatori sono riusciti a mappare la storia naturale e le abitudini personali dei pazienti per vedere come queste si localizzavano in cluster, cioè se chi sviluppava la malattia era stato più esposto a determinate aree e quindi molto probabilmente a dei fattori ambientali che ne hanno favorito l’insorgenza». 

Le aree sono state descritte dagli autori come una "popolazione stabile" di circa 3 milioni di persone con bassi tassi di migrazione, un elemento che la Dyson ha definito «importante quando si pensa alla validità della ricerca epidemiologica». 

Nel complesso, i ricercatori hanno identificato: 
2.150 casi di colangite biliare primitiva (età media alla diagnosi 58, 89% erano donne) 
963 casi di epatite autoimmune (età media alla diagnosi 57, 80% erano donne) 
472 casi di colangite sclerosante primitiva (età media alla diagnosi 51, 32% erano donne) 

Le stime di prevalenza puntuale per 100.000 abitanti erano più elevate per la colangite biliare primitiva (41,7%), seguita dall’epatite autoimmune (21,2%) e dalla colangite sclerosante primitiva (8,6%). 

Raggruppamento spaziale ma non temporale 
Per studiare il clustering della malattia sono state utilizzate le analisi del punto spaziale tramite gli indirizzi postali. Tutte e tre le malattie hanno evidenziato un "significativo raggruppamento spaziale" in un’area di circa 1-2 km, con un ulteriore raggruppamento per l'epatite autoimmune e la colangite sclerosante primitiva a 7,5-12 km, hanno detto gli autori, aggiungendo che nella colangite biliare primitiva c'erano distanze superiori a 7,5 km. 

In seguito sono state eseguite delle analisi spazio-temporali nei soggetti dei quali si conosceva l’anno della diagnosi, ma non è emersa l’evidenza di un raggruppamento temporale nei casi di colangite biliare primitiva e di epatite autoimmune. La Dyson ha detto che c'era una "suggestione" di raggruppamento temporale per la colangite sclerosante primitiva, anche se non era statisticamente significativa. 

Un agente ambientale persistente alla base delle patologie 
Secondo gli autori la mancanza di un clustering temporale non supporta la teoria di componenti ambientali più transitorie come le infezioni. «Questo studio suggerisce che l'esposizione a un agente ambientale persistente e di basso livello potrebbe aver giocato un ruolo nella patogenesi di tutte e tre le malattie autoimmuni epatiche che abbiamo studiato, non solo nella colangite biliare primitiva», ha aggiunto la Dyson. 

«Le distanze variabili del cluster di picco aumentano la possibilità che diversi fattori ambientali contribuiscano a queste patologie. In precedenti studi di clustering sulla colangite biliare primitiva sono stati implicati i serbatoi d'acqua, i fattori di estrazione industriale o del carbone o le tossine del sito di smaltimento dei rifiuti», ha continuato. «Sono in corso ulteriori ricerche per cercare di identificare i fattori che potrebbero essere associati ai raggruppamenti osservati nel nostro studio». 

«A oggi non abbiamo ancora dei dati che ci permettano di dire quale agente specifico abbia contribuito allo sviluppo di queste malattie, al cui sviluppo concorrono numerosi fattori» ha concluso Marzioni. «I fattori ambientali sono già stati presi in considerazione in passato, ma finora non sono emersi dati solidi. Invece il rigore scientifico con cui è stato condotto questo studio avvalora l’esposizione ambientale, perlomeno come possibile concausa dello sviluppo di queste malattie epatiche, un dato molto molto importante perché non va dimenticato che sono patologie infrequenti ma non rare e spesso anche molto difficili da trattare» 

Bibliografia 

Dyson J, et al "Disease clustering in autoimmune liver diseases points towards environmental factors being important in their aetiology" EASL 2019; Abstract PS-014.

Fonte: pharmastar.it
URL: https://www.pharmastar.it/news/gastro/le-malattie-epatiche-autoimmuni-possono-essere-innescate-da-fattori-ambientali-easl2019-29341 https://ilc-congress.eu/