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Sclerosi multipla recidivante e primariamente progressiva, ocrelizumab più si usa più riduce la disabilità #AAN19
Giovedi 9 Maggio 2019 Redazione
Nella sclerosi multipla recidivante (SMR) e primariamente progressiva (SMPP), nuove analisi dimostrano che la capacità di ocrelizumab di ridurre il rischio di progressione della disabilità è associata a una esposizione più prolungata al trattamento e a livelli più bassi dei linfociti B, ed evidenziano anche l’impatto positivo di ocrelizumab nel ridurre significativamente la progressione della disabilità.
I dati sono stati presentati al 71° Congresso Annuale dell’American Academy of Neurology (AAN), che si è svolto a Filadelfia, in Pennsylvania.
Con un’esperienza nella pratica clinica in rapido incremento e con oltre 100mila persone con SM trattate in tutto il mondo, ocrelizumab è la prima e unica terapia approvata sia per la SM recidivante - SM recidivante remittente (SMRR) e SM secondariamente progressiva attiva o con recidive (SMSP) - che per la SM primariamente progressiva e con una somministrazione semestrale.
Nuovi dati sulla sicurezza, presentati a Filadelfia e relativi a 4.501 pazienti con SMR e SMPP per un’esposizione totale a ocrelizumab pari a 12.559 anni-paziente in tutti gli studi clinici, si mantengono coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco.
“Quelli presentati sono i primi dati che dimostrano come una esposizione più prolungata a ocrelizumab è associata ad un maggior controllo della progressione della disabilità e questo senza avere un impatto sul profilo di sicurezza”, ha affermato Giancarlo Comi, Professore Onorario di Neurologia presso l’Università Vita e Salute e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano. “Questi dati, in linea con i risultati dei trial registrativi, costituiscono un argomento fortemente a favore dell’utilizzo del farmaco già dalle prime fasi della malattia e forniscono ai medici importanti informazioni fondamentali per orientare la scelta del trattamento più appropriato”.
I nuovi dati relativi alle analisi di farmacocinetica, farmacodinamica e di esposizione dimostrano che una esposizione più prolungata a ocrelizumab è correlata con livelli più bassi di linfociti B e con una progressione della disabilità inferiore nelle persone con SM. Nei pazienti con SMR, ocrelizumab, rispetto a interferone beta-1a, ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento; il rischio di progressione della disabilità è stato inferiore con una esposizione più prolungata a ocrelizumab.
Un andamento simile è stato osservato nelle persone con SMPP, nelle quali ocrelizumab ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento rispetto al placebo. Nelle persone con SMR e SMPP, ocrelizumab ha ridotto le lesioni T1 captanti gadolinio e le lesioni T2 nuove/in espansione rilevate mediante risonanza magnetica (RM) a livelli quasi non misurabili; nelle persone con SMR, ha ridotto a livelli molto bassi i tassi annualizzati di recidiva (0,13-0,18) per tutti i periodi di esposizione al trattamento. È molto importante osservare come i dati di sicurezza sono rimasti coerenti per tutti i periodi di esposizione a ocrelizumab, suggerendo che un’esposizione più prolungata al farmaco non aumenti la probabilità di eventi avversi.
I dati a lungo termine, di oltre cinque anni, provenienti dalle estensioni in aperto (OLE) degli studi di fase III OPERA I, OPERA II e ORATORIO rispettivamente nella SMR e nella SMPP, dimostrano che il trattamento precoce con ocrelizumab riduce significativamente il rischio di progressione della disabilità permanente con un effetto che si mantiene nel tempo.
Nel periodo OLE di OPERA I e OPERA II, la percentuale di persone con SMR con progressione della disabilità confermata a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo (per un totale di cinque anni) rispetto a coloro che erano passati ad ocrelizumab dopo due anni di trattamento con interferone beta-1a nel periodo in doppio cieco (per un totale di tre anni di trattamento continuativo con ocrelizumab) (10,4% vs. 15,7%; p=0,004).
Nel periodo OLE di ORATORIO, la percentuale di persone con SMPP con CDP a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo per oltre cinque anni e mezzo rispetto a coloro che sono passati a ocrelizumab da placebo dopo il periodo di 120 settimane in doppio cieco (43,7% vs. 53,1%; p=0,03).
Inoltre, i risultati ad interim dello studio di fase IIIb OBOE (Ocrelizumab Biomarker Outcome Evaluation) nelle persone con SMR, mostrano che ocrelizumab ha ridotto la presenza dei biomarcatori di danno neuronale e di infiammazione presenti nel siero e nel liquor alle settimane 12, 24 e 52. “I dati ad interim dello studio OBOE, suggeriscono che ocrelizumab sia in grado di ridurre il danno assonale in corso di malattia e l’infiammazione compartimentalizzata, oltre a limitare il reclutamento di nuove cellule del sistema immunitario, responsabili di nuove lesioni nel SNC”, ha affermato il Prof. Carlo Pozzilli, Responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale S. Andrea di Roma. “Questi dati si aggiungono al crescente numero di evidenze che hanno l’obiettivo di identificare i biomarcatori di progressione di malattia nella SM e la loro significativa riduzione in corso di trattamento è un’ulteriore conferma del beneficio clinico dimostrato da ocrelizumab”.
I dati sono stati presentati al 71° Congresso Annuale dell’American Academy of Neurology (AAN), che si è svolto a Filadelfia, in Pennsylvania.
Con un’esperienza nella pratica clinica in rapido incremento e con oltre 100mila persone con SM trattate in tutto il mondo, ocrelizumab è la prima e unica terapia approvata sia per la SM recidivante - SM recidivante remittente (SMRR) e SM secondariamente progressiva attiva o con recidive (SMSP) - che per la SM primariamente progressiva e con una somministrazione semestrale.
Nuovi dati sulla sicurezza, presentati a Filadelfia e relativi a 4.501 pazienti con SMR e SMPP per un’esposizione totale a ocrelizumab pari a 12.559 anni-paziente in tutti gli studi clinici, si mantengono coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco.
“Quelli presentati sono i primi dati che dimostrano come una esposizione più prolungata a ocrelizumab è associata ad un maggior controllo della progressione della disabilità e questo senza avere un impatto sul profilo di sicurezza”, ha affermato Giancarlo Comi, Professore Onorario di Neurologia presso l’Università Vita e Salute e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano. “Questi dati, in linea con i risultati dei trial registrativi, costituiscono un argomento fortemente a favore dell’utilizzo del farmaco già dalle prime fasi della malattia e forniscono ai medici importanti informazioni fondamentali per orientare la scelta del trattamento più appropriato”.
I nuovi dati relativi alle analisi di farmacocinetica, farmacodinamica e di esposizione dimostrano che una esposizione più prolungata a ocrelizumab è correlata con livelli più bassi di linfociti B e con una progressione della disabilità inferiore nelle persone con SM. Nei pazienti con SMR, ocrelizumab, rispetto a interferone beta-1a, ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento; il rischio di progressione della disabilità è stato inferiore con una esposizione più prolungata a ocrelizumab.
Un andamento simile è stato osservato nelle persone con SMPP, nelle quali ocrelizumab ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento rispetto al placebo. Nelle persone con SMR e SMPP, ocrelizumab ha ridotto le lesioni T1 captanti gadolinio e le lesioni T2 nuove/in espansione rilevate mediante risonanza magnetica (RM) a livelli quasi non misurabili; nelle persone con SMR, ha ridotto a livelli molto bassi i tassi annualizzati di recidiva (0,13-0,18) per tutti i periodi di esposizione al trattamento. È molto importante osservare come i dati di sicurezza sono rimasti coerenti per tutti i periodi di esposizione a ocrelizumab, suggerendo che un’esposizione più prolungata al farmaco non aumenti la probabilità di eventi avversi.
I dati a lungo termine, di oltre cinque anni, provenienti dalle estensioni in aperto (OLE) degli studi di fase III OPERA I, OPERA II e ORATORIO rispettivamente nella SMR e nella SMPP, dimostrano che il trattamento precoce con ocrelizumab riduce significativamente il rischio di progressione della disabilità permanente con un effetto che si mantiene nel tempo.
Nel periodo OLE di OPERA I e OPERA II, la percentuale di persone con SMR con progressione della disabilità confermata a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo (per un totale di cinque anni) rispetto a coloro che erano passati ad ocrelizumab dopo due anni di trattamento con interferone beta-1a nel periodo in doppio cieco (per un totale di tre anni di trattamento continuativo con ocrelizumab) (10,4% vs. 15,7%; p=0,004).
Nel periodo OLE di ORATORIO, la percentuale di persone con SMPP con CDP a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo per oltre cinque anni e mezzo rispetto a coloro che sono passati a ocrelizumab da placebo dopo il periodo di 120 settimane in doppio cieco (43,7% vs. 53,1%; p=0,03).
Inoltre, i risultati ad interim dello studio di fase IIIb OBOE (Ocrelizumab Biomarker Outcome Evaluation) nelle persone con SMR, mostrano che ocrelizumab ha ridotto la presenza dei biomarcatori di danno neuronale e di infiammazione presenti nel siero e nel liquor alle settimane 12, 24 e 52. “I dati ad interim dello studio OBOE, suggeriscono che ocrelizumab sia in grado di ridurre il danno assonale in corso di malattia e l’infiammazione compartimentalizzata, oltre a limitare il reclutamento di nuove cellule del sistema immunitario, responsabili di nuove lesioni nel SNC”, ha affermato il Prof. Carlo Pozzilli, Responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale S. Andrea di Roma. “Questi dati si aggiungono al crescente numero di evidenze che hanno l’obiettivo di identificare i biomarcatori di progressione di malattia nella SM e la loro significativa riduzione in corso di trattamento è un’ulteriore conferma del beneficio clinico dimostrato da ocrelizumab”.