Fonte pensiero.it
RCT da (non) rottamare
“Una costante opera di subdola denigrazione degli studi randomizzati controllati”. Così Vinay Prasad, oncoematologo dell’Oregon Health and Sciences University ha commenta un recente articolo apparso sul New England Journal of Medicine dal titolo: “Assessing the Gold Standard. Lessons from the History of RCTs”.
“L’articolo racconta la storia degli studi randomizzati controllati e solleva numerosi punti critici circa la loro reale utilità nel chiarire se un trattamento funziona o meno”, scrivono su Ricerca & Pratica, Rita Banzi e Chiara Gerardi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche del Mario Negri, Milano. “Fin qui forse niente di nuovo, ma l’attacco al concetto che gli studi randomizzati siano il nella ricerca clinica è così diretto e argomentato in maniera tanto maldestra, da indurre il lettore a pensare che l’obiettivo del pezzo vada ben oltre la semplice constatazione dei limiti degli studi randomizzati e la proposta di possibili soluzioni.”
“Che gli studi randomizzati siano imperfetti è noto. Alcuni tra i limiti sono strutturali e in un certo senso inevitabili: sono esperimenti complessi e costosi, sottoposti a numerosi vincoli regolatori, non adatti a valutare effetti poco frequenti. A una valutazione più attenta però non deve sfuggire che molti difetti attribuiti agli studi randomizzati sono in realtà dovuti alle scelte dei ricercatori. Spesso le domande che essi affrontano non sono quelle davvero utili e rilevanti per pazienti e comunità; le scelte metodologiche rendono i risultati di questi studi poco affidabili, imprecisi o inutilizzabili; gli studi con risultati non soddisfacenti (almeno per chi riponeva grandi aspettative nel trattamento sperimentale), se mai pubblicati, sono descritti in modo incompleto o distorto. In qualche sporadico caso è la mancanza di esperienza o l’inadeguata formazione degli sperimentatori clinici a provocare questi problemi. In realtà sappiamo bene che tutto ciò è causato da scelte legate a interessi precisi che tendono a massimizzare il risultato atteso.
Insomma, perché attaccare lo strumento per sé quando sarebbe invece interessante interrogarsi su come utilizzarlo al meglio?