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Nuove linee guida europee sulle dislipidemie, 'the lower, the better' più in auge che mai
Mercoledi 11 Settembre 2019 Alessandra Terzaghi
Per prevenire le malattie cardiovascolari, soprattutto nei pazienti ad alto e altissimo rischio, bisognerebbe abbassare il più possibile i livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL-C). È uno dei messaggi chiave, forse il più importante, che emerge dalle nuove linee guida congiunte della European Society of Cardiology (ESC)/European Atherosclerosis Society (EAS) sulla gestione delle dislipidemie, presentate in anteprima a Parigi al congresso dell’ESC e pubblicate contestualmente online sullo European Heart Journal, oltre che sul sito delle due società scientifiche.
Per raggiungere l’obiettivo, gli esperti europei propongono quindi un approccio aggressivo, con target di riduzione dell’LDL-C più bassi rispetto a quelli della versione precedente del documento (risalente al 2016) per la maggior parte delle categorie di rischio.
Ogni anno, in Europa, le malattie cardiovascolari (CVD), in primo luogo la CVD aterosclerotica, sono responsabili di oltre quattro milioni di decessi. Le nuove linee guida ESC/EAS forniscono raccomandazioni aggiornate su come modificare i livelli dei lipidi plasmatici attraverso lo stile di vita e i farmaci per ridurre il rischio di CVD aterosclerotica, in funzione del rischio cardiovascolare totale e dei livelli basali di LDL-
"Abbiamo ora prove schiaccianti provenienti da studi sperimentali, epidemiologici, e genetici, oltre che da trial clinici randomizzati, che livelli elevati di LDL-C sono una potente causa di infarto e ictus" ha spiegato Colin Baigent, uno dei tre presidenti della task force che ha redatto le linee guida e direttore dell'MRC Population Health Research Unit dell’Università di Oxford. "Abbassare l’LDL-C riduce il rischio indipendentemente dalla concentrazione basale. Ciò significa che nelle persone a rischio molto alto di infarto o ictus, ridurre l’LDL-C è una misura efficace anche se hanno livelli di partenza al di sotto della media".
Ridefinizione delle categorie di rischio
Innanzitutto, nelle nuove linee guida è stata effettuata una revisione delle categorie di stratificazione del rischio in modo che i pazienti con CVD aterosclerotica, diabete con danno agli organi target, ipercolesterolemia familiare e grave malattia renale cronica grave siano tutti classificati come ad altissimo rischio (e quindi debba essere loro offerta una terapia intensiva per la riduzione dell’LDL-C). All’interno di una data categoria di rischio, gli obiettivi terapeutici si applicano indipendentemente dal fatto che i pazienti abbiano già avuto o meno un infarto o un ictus.
Tabella. Pazienti a rischio alto o molto alto secondo le linee guida ESC/EAS 2019 sulla gestione delle dislipidemie.
Inoltre, le carte del rischio si applicano ora fino a 70 anni (prima erano 65), per tenere conto dell’invecchiamento generale della popolazione.
‘Più basso è, meglio è’ strategia sempre valida, ancor più di prima
Oltre a questo, "la strategia chiave in queste linee guida resta quella del ‘più basso è, meglio è’, e sebbene tale strategia sia raccomandata già da qualche tempo, nel nuovo documento sosteniamo che resta valida anche per livelli molto bassi di LDL-C" ha detto Baigent, aggiungendo che non esiste un limite inferiore ritenuto pericoloso.
Le linee guida mirano a garantire che i farmaci disponibili (statine, ezetimibe, inibitori di PCSK9) siano utilizzati nel modo più efficace possibile per abbassare i livelli di LDL-C nei pazienti più a rischio, che devono raggiungere sia target specifici sia una riduzione relativa dei livelli di partenza almeno del 50%.
"Questo per garantire che i pazienti a rischio alto o altissimo facciano una terapia ipocolesterolemizzante intensiva indipendentemente dal loro livello di base" ha spiegato Alberico L. Catapano, co-presidente della task force che ha preparato le nuove linee guida e professore di farmacologia presso il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell'Università di Milano.
"Ai pazienti che sono già vicini al loro target con il trattamento che già stanno facendo bisognerà offrire un trattamento aggiuntivo che prevede un'ulteriore riduzione minimo del 50%".
"Volevamo un approccio più semplice del precedente e nei pazienti a rischio più elevato ora raccomandiamo di ridurre il più possibile l’LDL-C, senza in realtà alcun limite inferiore” ha aggiunto Baigent.
Le linee guida forniscono un target di LDL-C inferiore a 1,4 mmol/l (<55 mg/dl) per i pazienti a rischio molto elevato e un target ancora più basso, 1,0 mmol/l (< 40 mg/dl), per i pazienti a rischio altissimo andati incontro di recente a più eventi cardiovascolari.
Per i pazienti a rischio molto elevato (rischio di morte > 10% nell'arco di 10 anni) si raccomanda un target inferiore a 1,4 mmol/l e anche una riduzione di almeno il 50% dell’LDL-C. “Quest’approccio è molto più aggressivo rispetto alle linee guida precedenti, che indicavano per questi pazienti un target di 1,8 mmol/l oppure una riduzione del 50%" ha sottolineato Baigent.
"La differenza tra 'e' e 'o' può sembrare un cambiamento sottile, ma potrebbe fare una grossa differenza per alcuni pazienti. Per esempio, se un paziente a rischio molto alto ha un LDL-C non trattato pari a 1,5 mmol/l – dunque un valore di poco superiore al target di 1,4 –, con la nuova raccomandazione, che richiede anche una riduzione del 50%, oltre che scendere al di sotto di 1,4, l’LDL-C dovrebbe essere abbassato molto di più, a 0,75 mmol/l” ha spiegato l’esperto.
"Abbiamo apportato questo cambiamento perché sappiamo che la riduzione del rischio è direttamente proporzionale all'entità della riduzione dell’LDL-C, per cui, se vogliamo ottenere una buona riduzione di tale rischio, bisogna massimizzare la riduzione dell’LDL" ha aggiunto Baigent.
I nuovi target di LDL-C per le diverse categorie di rischio
Quali sono, dunque, i target di LDL-C da raggiungere nei diversi gruppi di rischio secondo le nuove linee guida ESC/EAS?
• Per i pazienti a rischio molto alto (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni > 10%) si raccomanda una riduzione dell’LDL-C di almeno il 50% rispetto al valore basale e un target di LDL-C inferiore a 1,4 mmol/l (<55 mg/dl).
• Per i pazienti a rischio molto alto che vanno incontro a un secondo evento vascolare entro 2 anni dal primo (non necessariamente dello stesso tipo) mentre sono in trattamento con statine alla dose massima tollerata, si può prendere in considerazione un target di LDL-C inferiore a 1,0 mmol/l (< 40 mg/dl).
• Per i pazienti ad alto rischio (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni compreso fra il 5% e il 10%), si può prendere in considerazione una riduzione di almeno il 50% rispetto al valore basale e un target di LDL-C inferiore a 1,8 mmol/l (< 70 mg/dl).
• Per i soggetti a rischio moderato (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni fra l’1% e il 5%), bisognerebbe considerare un target di LDL-C inferiore a 2,6 mmol/l (< 100 mg/dl).
• Per i soggetti a basso rischio (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni < 1%), si potrebbe considerare un target di LDL-C inferiore a 3,0 mmol/l (< 116 mg/dl).
Nuova enfasi sulla terapia combinata
In parallelo con le raccomandazioni relative a questi nuovi target di LDL-C per i pazienti a rischio alto o molto alto, le ultime linee guida ESC/EAS enfatizzano l’importanza per questa popolazione della terapia combinata, che prevede in prima battuta l’aggiunta alle statine dell’ezetimibe e poi di un inibitore della PCSK9 per raggiungere tali target, “anche perché sappiamo bene che una sola classe di farmaci non sempre copre le esigenze di tutti i pazienti” ha rimarcato Catapano,"Per raggiungere questi obiettivi, raccomandiamo di trattare i pazienti ad alto e altissimo rischio in modo aggressivo con statine ad alte dosi (alla dose massima tollerata, ndr), con l'opzione di aggiungere l’ezetimibe e gli inibitori della PCSK9. Questo è un altro grosso cambiamento rispetto alle linee guida precedenti" ha sottolineato François Mach, dell’Ospedale universitario di Ginevra, terzo co-presidente del gruppo di esperti che ha stilato le linee guida appena diffuse.
"Abbiamo preparato un algoritmo che prevede innanzitutto un trattamento con statina ad alta intensità, alla dose massima tollerata dal paziente, dopodiché, se non si raggiungono i target raccomandati di LDL-C, si deve pensare a una combinazione terapeutica. Le linee guida suggeriscono di aggiungere un inibitore della sintesi del colesterolo, quale l’ezetimibe, che permette un’ulteriore riduzione, pari circa al 15%. Se anche in questo caso non si raggiunge il risultato, il nostro documento suggerisce di introdurre gli inibitori di PCSK9 in prevenzione primaria e li raccomanda in prevenzione secondaria"
"Volevamo andare oltre rispetto a ciò che si è fatto nel Stati Uniti, poiché ritenevamo che le prove supportassero un approccio più aggressivo, anche perché da quando sono state pubblicate le ultime linee guida statunitensi sono emerse ulteriori evidenze a favore di una forte riduzione dell’LDL-C" ha commentato l’opinion leader.
"L'approccio statunitense, ‘colpisci e dimentica’ non è sufficiente: bisogna continuare a rivedere il paziente e continuare a misurare i livelli di LDL-C per abbassarli il più possibile. Senza questo approccio, i pazienti tendono a smettere di assumere le statine" ha aggiunto Mach.
Il ruolo degli inibitori di PCSK9
"Il nuovo target di 1,4 mmol/l per i pazienti ad alto rischio si giustifica facilmente utilizzando i dati degli ultimi studi e meta-analisi su statine ad alte dosi e inibitori della PCSK9" ha osservato Baigent. "La stragrande maggioranza dei pazienti può raggiungere questo livello con statine ad alte dosi più ezetimibe, una combinazione economica e sicura”. In alcuni casi, tuttavia, questa combinazione può non essere sufficiente, ed è qui che entrano in gioco gli inibitori di PCSK9 (alirocumab ed evolocumab), il cui ruolo nelle nuove linee guida è decisamente ampliato rispetto alla versione precedente.
“Sono oggi disponibili risultati di grandi studi clinici condotti in soggetti ad alto rischio in presenza di statine come background, più o meno ezetimibe, che hanno portato a rendere più forti le indicazioni sugli inibitori di PCSK9 e, proprio sulla base di tali evidenze, nelle nuove linee guida sono oggi indicate situazioni in cui il ricorso a questi agenti fortemente è raccomandato e situazionui nelle quali può essere preso in considerazione” ha spiegato Catapano. “I dati sono ormai talmente evidenti che non è possibile non considerarli per l’utilizzo quotidiano, quando appropriati”.
In particolare, per la prevenzione primaria in pazienti a rischio molto alto, ma senza ipercolesterolemia famigliare, qualora non si riesca a raggiungere il target di LDL-C con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe, si può prendere in considerazione una combinazione con un inibitore di PCSK9.
L’associazione con un inibitore di PCSK9 è, invece, fortemente raccomandata in prevenzione secondaria per i pazienti a rischio molto alto che non raggiungono il target con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe, così come è raccomandata per i pazienti a rischio molto alto con ipercolesterolemia famigliare (cioè quelli con CVD aterosclerotica o un altro fattore di rischio maggiore) che non raggiungono l’obiettivo terapeutico con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe.
Inoltre, le linee guida suggeriscono l’aggiunta di un inibitore di PCSK a ezetimibe nei pazienti che non tollerano le statine a qualsiasi dosaggio (nemmeno dopo un re-challenge). “Questi soggetti, nei quali non viene a mancare uno dei pilastri della terapia, non sono, infatti, in grado di raggiungere l’obiettivo terapeutico senza altri farmaci che possano ridurre in modo sostanziale l’LDL-C, quali sono gli inibitori di PCSK9” ha sottolineato Catapano.
L’aggiunta di un inibitore di PCSK9 è prevista in alcuni casi anche in una particolare popolazione, quella dei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), riconosciuta oggi nelle linee guida come una categoria a rischio molto elevato di eventi ricorrenti. In particolare, in questi pazienti, si dovrebbe prendere in considerazione l'aggiunta di un inibitore di PCSK9 subito dopo l'evento (se possibile, durante il ricovero). In questi pazienti, se il target di LDL-C non viene raggiunto dopo 4-6 settimane nonostante la terapia con statine ed ezetimibe alla dose massima tollerata, l’inibitore di PCSK9 è raccomandato.
“Gli inibitori di PCSK9 rappresentano un aggiunta importante al nostro armamentario terapeutico per la gestione delle dislipidemie, vanno usati nei pazienti appropriati, quelli che indichiamo nelle linee guida, e hanno permesso di aprire la porta ad alcuni concetti importanti, quali il fatto che portare a livello molto bassi l’LDL-C apporta un ulteriore beneficio e che portare l’LDL-C anche a livelli pari a 15-20 mg/dl è sicuro, e non aumenta gli eventi avversi né come quantità né come gravità”.
Focus sulla sicurezza delle statine
Nelle linee guida appena diffuse è anche contenuta una nuova sezione che sottolinea la sicurezza della riduzione aggressiva dell’LDL-C e delle statine. "Non sono noti effetti avversi di livelli molto bassi di LDL-C" ha affermato Baigent.
Quanto alle statine, “sono molto ben tollerate, la vera 'intolleranza alle statine' non è comune e la maggior parte dei pazienti può prendere questi farmaci" ha commentato Mach. "Hanno pochissimi effetti collaterali, tra cui un aumento del rischio di sviluppare il diabete, e raramente possono causare un serio danno muscolare (miopatia o rabodomiolisi nei casi più gravi). Tuttavia, i benefici delle statine superano di gran lunga i loro rischi, anche nei pazienti a basso rischio di CVD aterosclerotica".
“Gli studi randomizzati e controllati con placebo hanno dimostrato molto chiaramente che la vera intolleranza alle statine è rara e che in genere è possibile istituire una qualche forma di terapia con statine (per esempio modificando la statina o riducendo la dose) nella stragrande maggioranza dei pazienti” ha aggiunto Baigent.
Bisogna tenere presente, tuttavia, che le statine non sono raccomandate nelle donne in pre-menopausa che hanno in programma una gravidanza o non utilizzano una contraccezione adeguata. "Sebbene questi farmaci non abbiano dimostrato di causare malformazioni fetali, quando utilizzati non intenzionalmente nel primo trimestre di gravidanza, le donne che necessitano di una terapia con statine dovrebbero evitarle in qualsiasi periodo in cui potrebbero rimanere incinte, in quanto non è stato effettuato alcuno studio formale che abbia affrontato la questione" ha detto Catapano.
Nessuna differenza tra prevenzione primaria e secondaria
Un'altra grossa novità nelle nuove linee guida è la rimozione della distinzione tra prevenzione primaria e secondaria.
"Le raccomandazioni sono simili per un livello di rischio simile indipendentemente dal fatto che un paziente abbia avuto o meno un evento precedente: non abbiamo fatto distinzioni tra prevenzione primaria e secondaria; piuttosto, il rischio è calcolato allo stesso modo in entrambi i contesti” ha spiegato Baigent.
"Sebbene i pazienti che devono essere sottoposti a prevenzione secondaria siano di norma a rischio più elevato, anche un paziente che deve fare una prevenzione primaria potrebbe comunque essere ad alto rischio se ha molteplici fattori di rischio e i dati mostrano che i benefici delle statine non differiscono tra la prevenzione primaria e secondaria di per sé, piuttosto, è il livello di rischio ad essere importante" ha sottolineato l’esperto.
Unica eccezione: gli anziani. "Sebbene abbiamo rafforzato la raccomandazione per l'uso delle statine negli anziani in generale, abbiamo dato una raccomandazione leggermente più debole per la prevenzione primaria nei soggetti al di sopra dei 75 anni", ha osservato Baigent, perché per questa popolazione le evidenze a favore della terapia con statine sono più limitate, seppure ancora coerenti con un beneficio.
Per decidere se sono appropriate nei pazienti over 75, le linee guida ESC/EAS consigliano di prendere in considerazione il livello di rischio, l’LDL-C basale, lo stato di salute e il rischio di interazioni farmacologiche. Inoltre, bisogna iniziare con basse dosi in presenza di insufficienza renale e/o di potenziali interazioni farmacologiche e poi aumentarle gradualmente fino a raggiungere i target di LDL-C.
Nuovi test per identificare i pazienti a rischio
Per la prima volta le linee guida raccomandano anche l'uso di nuovi test per aiutare a identificare i pazienti ad alto rischio, tra cui l’imaging per la valutazione della calcificazione coronarica (CAC score o calcium score) e i testi sui biomarcatori.
"La valutazione del CAC score con la Tac può essere utile per prendere decisioni in merito al trattamento nelle persone a rischio moderato di malattie cardiovascolari aterosclerotiche" si legge nel documento. "La determinazione di questo punteggio può essere di aiuto quando si discutono le strategie di trattamento per pazienti nei quali il target di LDL-C non viene raggiunto con il solo 'intervento sullo stile di vita da solo e si è in dubbio se prescrivere un trattamento ipocolesterolemizzante”.
"Se i pazienti hanno un CAC score molto basso, possiamo tranquillamente affermare che hanno un rischio molto basso di malattie cardiovascolari. Questa è una nuova raccomandazione per l'Europa e allinea le nostre linee guida con quelle statunitensi" ha commentato Mach.
Le linee guida suggeriscono che anche la valutazione ecografica del burden delle placche arteriose (a livello carotideo o femorale) può dare informazioni utili in queste circostanze.
Riguardo ai biomarcatori, le linee guida affermano che "l’ApoB potrebbe essere una misura migliore dell'esposizione di un individuo alle lipoproteine aterosclerotiche, e di conseguenza il suo uso può essere particolarmente utile per la valutazione del rischio nelle persone in cui la misurazione dell’LDL-C sottostima questo burden, come quelle obese, con trigliceridi elevati, diabete mellito o LDL-C molto basso".
Misurazione una tantum della lipoproteina (a)
Alla luce delle evidenze sostanziali accumulatesi dopo la pubblicazione delle linee guida precedenti (nel 2016) a supporto del ruolo causale della lipoproteina (a) [Lp(a)] nella cardiopatia ischemica, e dal momento che essa è in gran parte determinata geneticamente, il documento ESC/EAS raccomanda anche una misurazione di questo biomarcatore almeno una volta in tutti gli adulti. . "La valutazione andrebbe effettuata intorno ai 40 anni per identificare le persone a rischio prima che abbiano in infarto o un ictus" ha detto Baigent.
Le linee guida sottolineano che i pazienti con livelli molto alti di Lp(a), indice di un disturbo ereditario del metabolismo dei lipidi, possono avere un rischio di sviluppare una CVD aterosclerotica simile a quello degli individui con ipercolesterolemia famigliare eterozigote.
"Una misurazione una tantum dell’Lp(a) può aiutare a identificare le persone con livelli molto elevati di Lp(a) su base ereditaria, che possono avere un rischio sostanziale di malattie cardiovascolari nel corso della vita” si legge nel testo. "Può anche essere utile per un'ulteriore stratificazione dei pazienti ad alto rischio, in pazienti con anamnesi familiare di patologie cardiovascolari premature e per definire strategie di trattamento in persone il cui rischio stimato è al confine tra due categorie di rischio".
Questa nuova enfasi sull’Lp (a) è importante, dal momento che stanno entrando in fase 3 nuovi trattamenti specifici per questa anomalia delle lipoproteine e per pazienti ad alto e altissimo rischio. Le opzioni attuali per il trattamento dei livelli elevati di Lp alto (a) sono limitate agli inibitori di PCSK9 che hanno dimostrato di portare, in media, a riduzioni del 25-30% in media, con o senza terapia con statine di fondo.
Non solo colesterolo: ridurre i trigliceridi con gli omega-3
Ad aumentare il rischio di CVD concorrono non solo livelli elevati di LDL-C, ma anche l’innalzamento dei trigliceridi al di sopra della norma. “In questi ultimi anni, l’attenzione è tornata sui trigliceridi plasmatici come fattori di rischio, in quanto sono un marker molto importante dell’accumulo di lipoproteine ‘remnant’, che contengono sempre ApoB e sono aterogeniche; pertanto in molte occasioni avere i trigliceridi alti significa avere un accumulo di queste lipoproteine ed essere ad alto rischio cardiovascolare” ha sottolineato Catapano.
“Una volta controllato l’LDL-C, che resta il primum movens della CVD aterosclerotica, anche i trigliceridi vanno tenuti d’occhio, cercando di ridurli, in primo luogo con interventi sullo stile di vita, ai quali sono particolarmente sensibili. Nonostante queste misure, tuttavia, una fetta consistente della popolazione continua ad avere valori di trigliceridi elevati” e ha quindi bisogno di una terapia farmacologica.
Sebbene, il rischio sia aumentato in presenza di livelli di trigliceridi a digiuno > 1,7 mmol/l (>150 mg/dl), le linee guida dicono che l’uso di farmaci per ridurli può essere preso in considerazione solo nei pazienti ad alto rischio con valori di trigliceridi > 2,3 mmol/l (> 200 mg/dl), che non si riesce ad abbassare con i soli interventi sullo stile di vita. Le terapie farmacologiche disponibili sono le statine, i fibrati, gli inibitori della PCSK9 e gli omega-3 (n-3 PUFA).
“Le nuove linee guida rendono un po’ più cogente la raccomandazione di utilizzo degli omega-3 rispetto ai fibrati, perché alcuni trial, uno in particolare, suggeriscono una riduzione importante del rischio cardiovascolare con dosi sufficientemente elevate di omega-3 per ridurre i trigliceridi: 1 g/die non è sufficiente, devono essere 4 per ridurre i trigliceridi e le lipoproteine aterogene, e di conseguenza il rischio cardiovascolare, in modo significativo” ha aggiunto Catapano.
Nei pazienti sopracitati, le statine restano la terapia di prima scelta; tuttavia, le nuove linee guida contengono una raccomandazione basata sui risultati del recente studio REDUCE-IT sull’impiego di acido eicosapentaenoico ad alte dosi (EPA) in pazienti con ipertrigliceridemia. Il trial ha dimostrato che in pazienti ad alto rischio cardiovascolare già in trattamento con statine e con trigliceridi a digiuno pari a 135-499 mg/dl (1,52-1,63 mmol/l), il trattamento con icosapent etile (un EPA stabile e altamente purificato) ad alte dosi, assunto due volte al giorno, ha ridotto il rischio di eventi ischemici, tra cui anche il decesso per cause cardiovascolari, di circa il 25% nell’arco di un follow-up mediano di 4,9 anni.
“Raccomandiamo di misurare i trigliceridi e, sulla base dello studio REDUCE-IT, riteniamo ragionevole utilizzare omega-3, in aggiunta alle statine, in pazienti a rischio alto o molto alto con livelli di trigliceridi che restano elevati (compresi tra 1,5 e 5,6 mmol/l o (135-499 mg/dl) nonostante il trattamento con statine” ha detto Baigent.
“Le preparazioni di omega-3 sono varie. Nello studio REDUCE-IT si è valutato un solo tipo di omega-3, ma dal punto di vista biologico e della biotrasformazione penso si possa dire ragionevolmente che il beneficio può essere considerato un effetto di classe” ha concluso Catapano.
2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: The Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and European Atherosclerosis Society (EAS). Eur H J., ehz455.
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Per raggiungere l’obiettivo, gli esperti europei propongono quindi un approccio aggressivo, con target di riduzione dell’LDL-C più bassi rispetto a quelli della versione precedente del documento (risalente al 2016) per la maggior parte delle categorie di rischio.
Ogni anno, in Europa, le malattie cardiovascolari (CVD), in primo luogo la CVD aterosclerotica, sono responsabili di oltre quattro milioni di decessi. Le nuove linee guida ESC/EAS forniscono raccomandazioni aggiornate su come modificare i livelli dei lipidi plasmatici attraverso lo stile di vita e i farmaci per ridurre il rischio di CVD aterosclerotica, in funzione del rischio cardiovascolare totale e dei livelli basali di LDL-
"Abbiamo ora prove schiaccianti provenienti da studi sperimentali, epidemiologici, e genetici, oltre che da trial clinici randomizzati, che livelli elevati di LDL-C sono una potente causa di infarto e ictus" ha spiegato Colin Baigent, uno dei tre presidenti della task force che ha redatto le linee guida e direttore dell'MRC Population Health Research Unit dell’Università di Oxford. "Abbassare l’LDL-C riduce il rischio indipendentemente dalla concentrazione basale. Ciò significa che nelle persone a rischio molto alto di infarto o ictus, ridurre l’LDL-C è una misura efficace anche se hanno livelli di partenza al di sotto della media".
Ridefinizione delle categorie di rischio
Innanzitutto, nelle nuove linee guida è stata effettuata una revisione delle categorie di stratificazione del rischio in modo che i pazienti con CVD aterosclerotica, diabete con danno agli organi target, ipercolesterolemia familiare e grave malattia renale cronica grave siano tutti classificati come ad altissimo rischio (e quindi debba essere loro offerta una terapia intensiva per la riduzione dell’LDL-C). All’interno di una data categoria di rischio, gli obiettivi terapeutici si applicano indipendentemente dal fatto che i pazienti abbiano già avuto o meno un infarto o un ictus.
Rischio molto alto | - CVD aterosclerotica documentata clinicamente/dall’imaging - SCORE calcolato di rischio di CVD fatale in 10 anni ≥ 10% - Ipercolesterolemia famigliare con CVD aterosclerotica o un altro fattore di rischio principale - DM con danno agli organi target, ≥ 3 fattori di rischio principali o esordio precoce di un DMT1 di lunga durata (> 20 anni) - Nefropatia grave (eGFR < 30 ml/min/1,73 m2) |
Rischio alto | - SCORE calcolato di rischio di CVD fatale in 10 anni ≥ 5% e < 10% - Singoli fattori di rischio molto elevati, in particolare colesterolo totale > 8 mmol/l (> 310 mg/dl), LDL-C > 4,9 mmol/l (> 190 mg/dl), pressione sanguigna ≥ 180/110 mmHg - Ipercolesterolemia famigliare senza altri fattori di rischio maggiori - Diabete mellito (DM) senza danno agli organi target, con durata del DM ≥ 10 anni o altri fattori di rischio aggiuntivi - Nefropatia moderata (eGFR 3059 ml/min/1,73 m2) |
Tabella. Pazienti a rischio alto o molto alto secondo le linee guida ESC/EAS 2019 sulla gestione delle dislipidemie.
Inoltre, le carte del rischio si applicano ora fino a 70 anni (prima erano 65), per tenere conto dell’invecchiamento generale della popolazione.
‘Più basso è, meglio è’ strategia sempre valida, ancor più di prima
Oltre a questo, "la strategia chiave in queste linee guida resta quella del ‘più basso è, meglio è’, e sebbene tale strategia sia raccomandata già da qualche tempo, nel nuovo documento sosteniamo che resta valida anche per livelli molto bassi di LDL-C" ha detto Baigent, aggiungendo che non esiste un limite inferiore ritenuto pericoloso.
Le linee guida mirano a garantire che i farmaci disponibili (statine, ezetimibe, inibitori di PCSK9) siano utilizzati nel modo più efficace possibile per abbassare i livelli di LDL-C nei pazienti più a rischio, che devono raggiungere sia target specifici sia una riduzione relativa dei livelli di partenza almeno del 50%.
"Questo per garantire che i pazienti a rischio alto o altissimo facciano una terapia ipocolesterolemizzante intensiva indipendentemente dal loro livello di base" ha spiegato Alberico L. Catapano, co-presidente della task force che ha preparato le nuove linee guida e professore di farmacologia presso il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell'Università di Milano.
"Ai pazienti che sono già vicini al loro target con il trattamento che già stanno facendo bisognerà offrire un trattamento aggiuntivo che prevede un'ulteriore riduzione minimo del 50%".
"Volevamo un approccio più semplice del precedente e nei pazienti a rischio più elevato ora raccomandiamo di ridurre il più possibile l’LDL-C, senza in realtà alcun limite inferiore” ha aggiunto Baigent.
Le linee guida forniscono un target di LDL-C inferiore a 1,4 mmol/l (<55 mg/dl) per i pazienti a rischio molto elevato e un target ancora più basso, 1,0 mmol/l (< 40 mg/dl), per i pazienti a rischio altissimo andati incontro di recente a più eventi cardiovascolari.
Per i pazienti a rischio molto elevato (rischio di morte > 10% nell'arco di 10 anni) si raccomanda un target inferiore a 1,4 mmol/l e anche una riduzione di almeno il 50% dell’LDL-C. “Quest’approccio è molto più aggressivo rispetto alle linee guida precedenti, che indicavano per questi pazienti un target di 1,8 mmol/l oppure una riduzione del 50%" ha sottolineato Baigent.
"La differenza tra 'e' e 'o' può sembrare un cambiamento sottile, ma potrebbe fare una grossa differenza per alcuni pazienti. Per esempio, se un paziente a rischio molto alto ha un LDL-C non trattato pari a 1,5 mmol/l – dunque un valore di poco superiore al target di 1,4 –, con la nuova raccomandazione, che richiede anche una riduzione del 50%, oltre che scendere al di sotto di 1,4, l’LDL-C dovrebbe essere abbassato molto di più, a 0,75 mmol/l” ha spiegato l’esperto.
"Abbiamo apportato questo cambiamento perché sappiamo che la riduzione del rischio è direttamente proporzionale all'entità della riduzione dell’LDL-C, per cui, se vogliamo ottenere una buona riduzione di tale rischio, bisogna massimizzare la riduzione dell’LDL" ha aggiunto Baigent.
I nuovi target di LDL-C per le diverse categorie di rischio
Quali sono, dunque, i target di LDL-C da raggiungere nei diversi gruppi di rischio secondo le nuove linee guida ESC/EAS?
• Per i pazienti a rischio molto alto (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni > 10%) si raccomanda una riduzione dell’LDL-C di almeno il 50% rispetto al valore basale e un target di LDL-C inferiore a 1,4 mmol/l (<55 mg/dl).
• Per i pazienti a rischio molto alto che vanno incontro a un secondo evento vascolare entro 2 anni dal primo (non necessariamente dello stesso tipo) mentre sono in trattamento con statine alla dose massima tollerata, si può prendere in considerazione un target di LDL-C inferiore a 1,0 mmol/l (< 40 mg/dl).
• Per i pazienti ad alto rischio (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni compreso fra il 5% e il 10%), si può prendere in considerazione una riduzione di almeno il 50% rispetto al valore basale e un target di LDL-C inferiore a 1,8 mmol/l (< 70 mg/dl).
• Per i soggetti a rischio moderato (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni fra l’1% e il 5%), bisognerebbe considerare un target di LDL-C inferiore a 2,6 mmol/l (< 100 mg/dl).
• Per i soggetti a basso rischio (rischio di morte per cause cardiovascolari in 10 anni < 1%), si potrebbe considerare un target di LDL-C inferiore a 3,0 mmol/l (< 116 mg/dl).
Nuova enfasi sulla terapia combinata
In parallelo con le raccomandazioni relative a questi nuovi target di LDL-C per i pazienti a rischio alto o molto alto, le ultime linee guida ESC/EAS enfatizzano l’importanza per questa popolazione della terapia combinata, che prevede in prima battuta l’aggiunta alle statine dell’ezetimibe e poi di un inibitore della PCSK9 per raggiungere tali target, “anche perché sappiamo bene che una sola classe di farmaci non sempre copre le esigenze di tutti i pazienti” ha rimarcato Catapano,"Per raggiungere questi obiettivi, raccomandiamo di trattare i pazienti ad alto e altissimo rischio in modo aggressivo con statine ad alte dosi (alla dose massima tollerata, ndr), con l'opzione di aggiungere l’ezetimibe e gli inibitori della PCSK9. Questo è un altro grosso cambiamento rispetto alle linee guida precedenti" ha sottolineato François Mach, dell’Ospedale universitario di Ginevra, terzo co-presidente del gruppo di esperti che ha stilato le linee guida appena diffuse.
"Abbiamo preparato un algoritmo che prevede innanzitutto un trattamento con statina ad alta intensità, alla dose massima tollerata dal paziente, dopodiché, se non si raggiungono i target raccomandati di LDL-C, si deve pensare a una combinazione terapeutica. Le linee guida suggeriscono di aggiungere un inibitore della sintesi del colesterolo, quale l’ezetimibe, che permette un’ulteriore riduzione, pari circa al 15%. Se anche in questo caso non si raggiunge il risultato, il nostro documento suggerisce di introdurre gli inibitori di PCSK9 in prevenzione primaria e li raccomanda in prevenzione secondaria"
"Volevamo andare oltre rispetto a ciò che si è fatto nel Stati Uniti, poiché ritenevamo che le prove supportassero un approccio più aggressivo, anche perché da quando sono state pubblicate le ultime linee guida statunitensi sono emerse ulteriori evidenze a favore di una forte riduzione dell’LDL-C" ha commentato l’opinion leader.
"L'approccio statunitense, ‘colpisci e dimentica’ non è sufficiente: bisogna continuare a rivedere il paziente e continuare a misurare i livelli di LDL-C per abbassarli il più possibile. Senza questo approccio, i pazienti tendono a smettere di assumere le statine" ha aggiunto Mach.
Il ruolo degli inibitori di PCSK9
"Il nuovo target di 1,4 mmol/l per i pazienti ad alto rischio si giustifica facilmente utilizzando i dati degli ultimi studi e meta-analisi su statine ad alte dosi e inibitori della PCSK9" ha osservato Baigent. "La stragrande maggioranza dei pazienti può raggiungere questo livello con statine ad alte dosi più ezetimibe, una combinazione economica e sicura”. In alcuni casi, tuttavia, questa combinazione può non essere sufficiente, ed è qui che entrano in gioco gli inibitori di PCSK9 (alirocumab ed evolocumab), il cui ruolo nelle nuove linee guida è decisamente ampliato rispetto alla versione precedente.
“Sono oggi disponibili risultati di grandi studi clinici condotti in soggetti ad alto rischio in presenza di statine come background, più o meno ezetimibe, che hanno portato a rendere più forti le indicazioni sugli inibitori di PCSK9 e, proprio sulla base di tali evidenze, nelle nuove linee guida sono oggi indicate situazioni in cui il ricorso a questi agenti fortemente è raccomandato e situazionui nelle quali può essere preso in considerazione” ha spiegato Catapano. “I dati sono ormai talmente evidenti che non è possibile non considerarli per l’utilizzo quotidiano, quando appropriati”.
In particolare, per la prevenzione primaria in pazienti a rischio molto alto, ma senza ipercolesterolemia famigliare, qualora non si riesca a raggiungere il target di LDL-C con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe, si può prendere in considerazione una combinazione con un inibitore di PCSK9.
L’associazione con un inibitore di PCSK9 è, invece, fortemente raccomandata in prevenzione secondaria per i pazienti a rischio molto alto che non raggiungono il target con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe, così come è raccomandata per i pazienti a rischio molto alto con ipercolesterolemia famigliare (cioè quelli con CVD aterosclerotica o un altro fattore di rischio maggiore) che non raggiungono l’obiettivo terapeutico con la dose massima tollerata di statina più ezetimibe.
Inoltre, le linee guida suggeriscono l’aggiunta di un inibitore di PCSK a ezetimibe nei pazienti che non tollerano le statine a qualsiasi dosaggio (nemmeno dopo un re-challenge). “Questi soggetti, nei quali non viene a mancare uno dei pilastri della terapia, non sono, infatti, in grado di raggiungere l’obiettivo terapeutico senza altri farmaci che possano ridurre in modo sostanziale l’LDL-C, quali sono gli inibitori di PCSK9” ha sottolineato Catapano.
L’aggiunta di un inibitore di PCSK9 è prevista in alcuni casi anche in una particolare popolazione, quella dei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), riconosciuta oggi nelle linee guida come una categoria a rischio molto elevato di eventi ricorrenti. In particolare, in questi pazienti, si dovrebbe prendere in considerazione l'aggiunta di un inibitore di PCSK9 subito dopo l'evento (se possibile, durante il ricovero). In questi pazienti, se il target di LDL-C non viene raggiunto dopo 4-6 settimane nonostante la terapia con statine ed ezetimibe alla dose massima tollerata, l’inibitore di PCSK9 è raccomandato.
“Gli inibitori di PCSK9 rappresentano un aggiunta importante al nostro armamentario terapeutico per la gestione delle dislipidemie, vanno usati nei pazienti appropriati, quelli che indichiamo nelle linee guida, e hanno permesso di aprire la porta ad alcuni concetti importanti, quali il fatto che portare a livello molto bassi l’LDL-C apporta un ulteriore beneficio e che portare l’LDL-C anche a livelli pari a 15-20 mg/dl è sicuro, e non aumenta gli eventi avversi né come quantità né come gravità”.
Focus sulla sicurezza delle statine
Nelle linee guida appena diffuse è anche contenuta una nuova sezione che sottolinea la sicurezza della riduzione aggressiva dell’LDL-C e delle statine. "Non sono noti effetti avversi di livelli molto bassi di LDL-C" ha affermato Baigent.
Quanto alle statine, “sono molto ben tollerate, la vera 'intolleranza alle statine' non è comune e la maggior parte dei pazienti può prendere questi farmaci" ha commentato Mach. "Hanno pochissimi effetti collaterali, tra cui un aumento del rischio di sviluppare il diabete, e raramente possono causare un serio danno muscolare (miopatia o rabodomiolisi nei casi più gravi). Tuttavia, i benefici delle statine superano di gran lunga i loro rischi, anche nei pazienti a basso rischio di CVD aterosclerotica".
“Gli studi randomizzati e controllati con placebo hanno dimostrato molto chiaramente che la vera intolleranza alle statine è rara e che in genere è possibile istituire una qualche forma di terapia con statine (per esempio modificando la statina o riducendo la dose) nella stragrande maggioranza dei pazienti” ha aggiunto Baigent.
Bisogna tenere presente, tuttavia, che le statine non sono raccomandate nelle donne in pre-menopausa che hanno in programma una gravidanza o non utilizzano una contraccezione adeguata. "Sebbene questi farmaci non abbiano dimostrato di causare malformazioni fetali, quando utilizzati non intenzionalmente nel primo trimestre di gravidanza, le donne che necessitano di una terapia con statine dovrebbero evitarle in qualsiasi periodo in cui potrebbero rimanere incinte, in quanto non è stato effettuato alcuno studio formale che abbia affrontato la questione" ha detto Catapano.
Nessuna differenza tra prevenzione primaria e secondaria
Un'altra grossa novità nelle nuove linee guida è la rimozione della distinzione tra prevenzione primaria e secondaria.
"Le raccomandazioni sono simili per un livello di rischio simile indipendentemente dal fatto che un paziente abbia avuto o meno un evento precedente: non abbiamo fatto distinzioni tra prevenzione primaria e secondaria; piuttosto, il rischio è calcolato allo stesso modo in entrambi i contesti” ha spiegato Baigent.
"Sebbene i pazienti che devono essere sottoposti a prevenzione secondaria siano di norma a rischio più elevato, anche un paziente che deve fare una prevenzione primaria potrebbe comunque essere ad alto rischio se ha molteplici fattori di rischio e i dati mostrano che i benefici delle statine non differiscono tra la prevenzione primaria e secondaria di per sé, piuttosto, è il livello di rischio ad essere importante" ha sottolineato l’esperto.
Unica eccezione: gli anziani. "Sebbene abbiamo rafforzato la raccomandazione per l'uso delle statine negli anziani in generale, abbiamo dato una raccomandazione leggermente più debole per la prevenzione primaria nei soggetti al di sopra dei 75 anni", ha osservato Baigent, perché per questa popolazione le evidenze a favore della terapia con statine sono più limitate, seppure ancora coerenti con un beneficio.
Per decidere se sono appropriate nei pazienti over 75, le linee guida ESC/EAS consigliano di prendere in considerazione il livello di rischio, l’LDL-C basale, lo stato di salute e il rischio di interazioni farmacologiche. Inoltre, bisogna iniziare con basse dosi in presenza di insufficienza renale e/o di potenziali interazioni farmacologiche e poi aumentarle gradualmente fino a raggiungere i target di LDL-C.
Nuovi test per identificare i pazienti a rischio
Per la prima volta le linee guida raccomandano anche l'uso di nuovi test per aiutare a identificare i pazienti ad alto rischio, tra cui l’imaging per la valutazione della calcificazione coronarica (CAC score o calcium score) e i testi sui biomarcatori.
"La valutazione del CAC score con la Tac può essere utile per prendere decisioni in merito al trattamento nelle persone a rischio moderato di malattie cardiovascolari aterosclerotiche" si legge nel documento. "La determinazione di questo punteggio può essere di aiuto quando si discutono le strategie di trattamento per pazienti nei quali il target di LDL-C non viene raggiunto con il solo 'intervento sullo stile di vita da solo e si è in dubbio se prescrivere un trattamento ipocolesterolemizzante”.
"Se i pazienti hanno un CAC score molto basso, possiamo tranquillamente affermare che hanno un rischio molto basso di malattie cardiovascolari. Questa è una nuova raccomandazione per l'Europa e allinea le nostre linee guida con quelle statunitensi" ha commentato Mach.
Le linee guida suggeriscono che anche la valutazione ecografica del burden delle placche arteriose (a livello carotideo o femorale) può dare informazioni utili in queste circostanze.
Riguardo ai biomarcatori, le linee guida affermano che "l’ApoB potrebbe essere una misura migliore dell'esposizione di un individuo alle lipoproteine aterosclerotiche, e di conseguenza il suo uso può essere particolarmente utile per la valutazione del rischio nelle persone in cui la misurazione dell’LDL-C sottostima questo burden, come quelle obese, con trigliceridi elevati, diabete mellito o LDL-C molto basso".
Misurazione una tantum della lipoproteina (a)
Alla luce delle evidenze sostanziali accumulatesi dopo la pubblicazione delle linee guida precedenti (nel 2016) a supporto del ruolo causale della lipoproteina (a) [Lp(a)] nella cardiopatia ischemica, e dal momento che essa è in gran parte determinata geneticamente, il documento ESC/EAS raccomanda anche una misurazione di questo biomarcatore almeno una volta in tutti gli adulti. . "La valutazione andrebbe effettuata intorno ai 40 anni per identificare le persone a rischio prima che abbiano in infarto o un ictus" ha detto Baigent.
Le linee guida sottolineano che i pazienti con livelli molto alti di Lp(a), indice di un disturbo ereditario del metabolismo dei lipidi, possono avere un rischio di sviluppare una CVD aterosclerotica simile a quello degli individui con ipercolesterolemia famigliare eterozigote.
"Una misurazione una tantum dell’Lp(a) può aiutare a identificare le persone con livelli molto elevati di Lp(a) su base ereditaria, che possono avere un rischio sostanziale di malattie cardiovascolari nel corso della vita” si legge nel testo. "Può anche essere utile per un'ulteriore stratificazione dei pazienti ad alto rischio, in pazienti con anamnesi familiare di patologie cardiovascolari premature e per definire strategie di trattamento in persone il cui rischio stimato è al confine tra due categorie di rischio".
Questa nuova enfasi sull’Lp (a) è importante, dal momento che stanno entrando in fase 3 nuovi trattamenti specifici per questa anomalia delle lipoproteine e per pazienti ad alto e altissimo rischio. Le opzioni attuali per il trattamento dei livelli elevati di Lp alto (a) sono limitate agli inibitori di PCSK9 che hanno dimostrato di portare, in media, a riduzioni del 25-30% in media, con o senza terapia con statine di fondo.
Non solo colesterolo: ridurre i trigliceridi con gli omega-3
Ad aumentare il rischio di CVD concorrono non solo livelli elevati di LDL-C, ma anche l’innalzamento dei trigliceridi al di sopra della norma. “In questi ultimi anni, l’attenzione è tornata sui trigliceridi plasmatici come fattori di rischio, in quanto sono un marker molto importante dell’accumulo di lipoproteine ‘remnant’, che contengono sempre ApoB e sono aterogeniche; pertanto in molte occasioni avere i trigliceridi alti significa avere un accumulo di queste lipoproteine ed essere ad alto rischio cardiovascolare” ha sottolineato Catapano.
“Una volta controllato l’LDL-C, che resta il primum movens della CVD aterosclerotica, anche i trigliceridi vanno tenuti d’occhio, cercando di ridurli, in primo luogo con interventi sullo stile di vita, ai quali sono particolarmente sensibili. Nonostante queste misure, tuttavia, una fetta consistente della popolazione continua ad avere valori di trigliceridi elevati” e ha quindi bisogno di una terapia farmacologica.
Sebbene, il rischio sia aumentato in presenza di livelli di trigliceridi a digiuno > 1,7 mmol/l (>150 mg/dl), le linee guida dicono che l’uso di farmaci per ridurli può essere preso in considerazione solo nei pazienti ad alto rischio con valori di trigliceridi > 2,3 mmol/l (> 200 mg/dl), che non si riesce ad abbassare con i soli interventi sullo stile di vita. Le terapie farmacologiche disponibili sono le statine, i fibrati, gli inibitori della PCSK9 e gli omega-3 (n-3 PUFA).
“Le nuove linee guida rendono un po’ più cogente la raccomandazione di utilizzo degli omega-3 rispetto ai fibrati, perché alcuni trial, uno in particolare, suggeriscono una riduzione importante del rischio cardiovascolare con dosi sufficientemente elevate di omega-3 per ridurre i trigliceridi: 1 g/die non è sufficiente, devono essere 4 per ridurre i trigliceridi e le lipoproteine aterogene, e di conseguenza il rischio cardiovascolare, in modo significativo” ha aggiunto Catapano.
Nei pazienti sopracitati, le statine restano la terapia di prima scelta; tuttavia, le nuove linee guida contengono una raccomandazione basata sui risultati del recente studio REDUCE-IT sull’impiego di acido eicosapentaenoico ad alte dosi (EPA) in pazienti con ipertrigliceridemia. Il trial ha dimostrato che in pazienti ad alto rischio cardiovascolare già in trattamento con statine e con trigliceridi a digiuno pari a 135-499 mg/dl (1,52-1,63 mmol/l), il trattamento con icosapent etile (un EPA stabile e altamente purificato) ad alte dosi, assunto due volte al giorno, ha ridotto il rischio di eventi ischemici, tra cui anche il decesso per cause cardiovascolari, di circa il 25% nell’arco di un follow-up mediano di 4,9 anni.
“Raccomandiamo di misurare i trigliceridi e, sulla base dello studio REDUCE-IT, riteniamo ragionevole utilizzare omega-3, in aggiunta alle statine, in pazienti a rischio alto o molto alto con livelli di trigliceridi che restano elevati (compresi tra 1,5 e 5,6 mmol/l o (135-499 mg/dl) nonostante il trattamento con statine” ha detto Baigent.
“Le preparazioni di omega-3 sono varie. Nello studio REDUCE-IT si è valutato un solo tipo di omega-3, ma dal punto di vista biologico e della biotrasformazione penso si possa dire ragionevolmente che il beneficio può essere considerato un effetto di classe” ha concluso Catapano.
2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: The Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and European Atherosclerosis Society (EAS). Eur H J., ehz455.
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