02 febbraio 2017
Un'interfaccia neurale per la sindrome locked-in
Realizzata in Svizzera una nuova interfaccia uomo-macchina che consente alle persone che hanno perso qualunque capacità di movimento, compresa quella oculare, di tornare a comunicare, sia pure in modo limitato. Il dispositivo è infatti in grado di "leggere il pensiero", rilevando le risposte del soggetto a semplici domande attraverso la misura dello stato di ossigenazione del sangue e la registrazione di un elettroencefalogramma(red)
Nelle fasi più avanzate, gravi malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica non lasciano al paziente alcun movimento residuo, nemmeno degli occhi, anche se le capacità cognitive rimangono intatte: si parla in questo caso di sindrome locked-in.
Per questi pazienti, a cui è preclusa ogni comunicazione con il mondo, esiste ora una nuova interfaccia cervello-computer non invasiva che permette di decifrarne i pensieri, almeno quando devono rispondere sì o no a semplici domande: l'hanno realizzata Niels Birbaumer e colleghi del Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra, in Svizzera, autori di un articolo apparso sulla rivista “PLOS Biology”.
La sperimentazione ha coinvolto quattro soggetti affetti da sclerosi laterale amiotrofica, studiati approfonditamente per stabilire i parametri fisiologici indicativi di una risposta affermativa o negativa a semplici domande.
L'interfaccia neurale utilizzata sfrutta due tecniche combinate: la spettroscopia nel vicino infrarosso, che misura il livello di emoglobina nel sangue e quindi il suo grado di ossigenazione, e l'elettroencefalografia, che monitora l'attività elettrica del cervello.
I ricercatori hanno rivolto ai soggetti domande personali la cui risposta era nota, come “Il nome di tuo marito è Joachim?”. In questo caso, l'interfaccia è riuscita a indicare la risposta corretta in sette casi su dieci. Successivamente, i ricercatori hanno provato a formulare domande aperte, come per esempio “Sei felice?”, a cui, inaspettatamente, i quattro soggetti, nonostante le loro condizioni, hanno risposto sì ripetutamente e per diverse settimane.
“Questi impressionanti risultati confutano l'idea secondo cui le persone con sindrome locked-in non sono capaci di comunicare. Abbiamo scoperto che tutti e quattro i soggetti studiati erano un grado di rispondere alle domande personali che abbiamo rivolto loro, utilizzando solo i loro pensieri”, ha commentato Birbaumer. “Se potessimo replicare questo studio su un maggior numero di pazienti, credo che potremo ristabilire una qualche forma di comunicazione con pazienti con sindrome locked-in”.
“Inizialmente siamo rimasti sorpresi delle risposte positive alla domanda sulla qualità della vita: tutti e quattro i soggetti infatti hanno accettato la ventilazione artificiale per prolungare la loro vita, quindi in un certo senso avevano già scelto di vivere”, ha aggiunto Birbaumer. “Ciò che abbiamo osservato è che finché ricevevano cure domiciliari soddisfacenti, i pazienti trovavano accettabile la loro qualità di vita; per questo motivo, se riuscissimo a rendere questa tecnica ampiamente disponibile, l'impatto sulla vita quotidiana delle persone con sindrome locked-in sarebbe enorme”.