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Ho scoperto di avere la Malattia di Anderson Fabry. E così anche mio figlio e altri familiari. Ma ci reputo molto fortunati perché esistono farmaci per controllarne i sintomi. E soprattutto perché così ho conosciuto la solidarietà tra genitori e l’unione che fa la forza
1 DICEMBRE 2019 | a cura di Ruggiero Corcella
Un giorno come gli altri ti svegli e dovrai fare fronte ai soliti impegni quotidiani, non sai ancora che questo giorno di settembre rimarrà per sempre inciso nella tua mente. Oggi, ricordando quei momenti, penso che questa circostanza abbia rappresentato per me e la mia famiglia un colpo di fortuna: grazie ad alcune alterazioni presenti in esami diagnostici specifici, che riguardavano mia madre e che io stessa sottoposi all’attenzione di medici specialisti , questi orientarono i loro sospetti verso una malattia del metabolismo, la Malattia di Anderson Fabry, che adesso so essere una malattia X-Linked, dove non solo i maschi, ma anche le femmine eterozigoti possono manifestare segni o sintomi di malattia.
Dopo lo stupore iniziale, la curiosità di capire e di conoscere questa malattia dal nome così complesso, mi assalì! Fu proprio dalla narrazione della storia familiare, che i medici individuarono la necessità di effettuare ulteriori controlli su di me e sui miei fratelli, ma anche sui nostri figli. A quel punto, con i dubbi e le paure che mi portavo dentro, dovetti riunire tutta la famiglia per spiegare loro la necessità di sottoporsi a questi controlli. Subito il pensiero andò a mio figlio che allora aveva solo sei anni e che, ricordo adesso nel periodo in cui frequentava l’asilo nido, accusava qualche sintomo (dolore ai piedi e dolori addominali) e lo collegai mentalmente a questa malattia. Già immaginai il dramma di doverlo «convincere» a sottoporsi al prelievo e ci riuscii. Adesso non rimaneva che aspettare!
A distanza di qualche giorno i medici mi convocano e mi comunicano che non solo mia mamma, ma anche mio fratello e mio figlio, avevano la carenza enzimatica tipica della malattia di Fabry, io avevo gli stessi polimorfismi. Fu così che con grande sorpresa ed amarezza, un nuovo mondo mi si rivelò davanti agli occhi, costringendomi ad attraversare una porta della vita che mai avrei immaginato di varcare visto che, fino a quel momento ne ignoravo persino l’esistenza! Non so quale forza interiore si è innescata in me. Ricordo che non ho neppure pianto, so soltanto che ho deciso immediatamente che mi sarei occupata della malattia «sconosciuta» di mio figlio, ma non le avrei mai e poi permesso di prendersi tutto lo spazio nelle nostre vite. In fondo, noi non siamo le nostre malattie! Ho semplicemente ritagliato un piccolo spazio, ma non ho ignorato il problema.
La malattia di cui soffro sebbene piuttosto rara, può essere trattata con farmaci che possono controllarne i sintomi, per questo reputo mio figlio, noi, molto fortunati. Proprio perché credo tanto nella solidarietà tra genitori, iniziai a fare gruppo per cercare di risolvere alcuni problemi che avevamo in comune . Fu così che entrai a far parte di un’associazione di pazienti, l’associazione IRIS Malattie Metaboliche Rare per cercare tutti insieme di far sentire la nostra voce, il nostro bisogno. Ho sempre pensato che siamo «rari» per definizione, ma di certo non siamo trasparenti! Per tutti i genitori, per i loro bambini e soprattutto per mio figlio, negli ultimi 10 anni, ho studiato e dedicato parte della mia vita a un processo di empowerment (crescita personale e potenziamento) a vari livelli. Ho cercato di realizzare un progetto di rete attraverso un protocollo d’intesa, in grado di unire le associazioni di malattie rare nella mia regione, per favorire l’empowerment , al servizio della persona con malattia rara.
Oggi devo dire grazie alla formazione svolta in questi anni dalla federazione Uniamo, e soprattutto grazie alla prima scuola di pazienti Season School Rare Disease che è stata realizzata dal Centro Studi Uniamo Goldin in collaborazione con UNIAMO Onlus, adesso ho una visione di insieme che mi ha consentito di aggiungere tasselli importanti e conoscenza nell’ambito, al punto di avere la possibilità e l’opportunità di assumere un ruolo proattivo nel sistema in grado di rappresentare in modo più consapevole il bisogno e l’ascolto della persona affetta da malattia rara.
M.C.