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Medicina scienza e ricerca
Covid-19, i farmaci in sperimentazione di cui non si parla: quali i più promettenti?
AboutPharma pubblica in esclusiva un contributo della Società italiana di farmacologia (Sif) sui medicinali che potrebbero aiutare la comunità scientifica a trovare nuove risposte contro la pandemia
Come si cura la malattia da COVID-19 (COronaVIrus Disease-19)? Ad oggi, nessun farmaco in commercio è indicato né per il trattamento dei sintomi da infezione dal virus SARS-COV-2 né per evitare che lo stesso possa infettare l’uomo. Eppure, la comunità scientifica sta lavorando cercando di sperimentare farmaci: nella maggior parte dei casi si tratta di molecole già in commercio e utilizzate da tempo per il trattamento di altre malattie ma che “ricollocate” contro il COVID-19 potrebbero agire contenendo quanto più possibile il processo infiammatorio prodotto dall’infezione, oppure rendere più complicato l’ingresso del virus nell’organismo o, ancora, impedire la replicazione dello stesso.
Attualmente, nel mondo, oltre a farmaci ad attività antivirale (ritonavir/lopinavir e remdesevir) ne abbiamo alcuni in grado di interferire con l’eccessiva risposta del nostro sistema immunitario contro l’infezione spesso causa dei decessi: immaginate un fuoco amico che per rispondere alla malattia che ci attacca finisce per nuocere ai nostri stessi tessuti. In questo caso si è già diffusamente parlato di farmaci immunomodulanti come l’idrossiclorochina e il tocilizumab. Per nulla invece sono state riportate nuove sperimentazioni, per altrettanti farmaci, che potrebbero essere efficaci, con meccanismo d’azione molto simile a tocilizumab, come sarilumab (anti Interleuchina 3), eculizumab, emapalumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’interferone-γ (IFN-γ) ed anakinra, un antagonista del recettore per la interleuchina-1 (IL-1).
Quali altre molecole invece, con meccanismi d’azione differenti, si stanno valutando?
La colchicina è tra queste molecole, in grado di interferire con la risposta immunitaria infiammatoria che si osserva in soggetti con infezione da SARS-COV-2. La colchicina è un farmaco utilizzato oramai da tanto tempo ed è efficace per il trattamento dell’attacco acuto di artrite gottosa. Nello specifico, riesce a ridurre il rilascio di citochine, molecole che come l’interleuchina 6 sono responsabili del processo infiammatorio.
Baricitinib è invece attualmente approvato, in monoterapia o in terapia di associazione, per il trattamento dell’artrite reumatoide. Si tratta di un inibitore di alcuni enzimi coinvolti nell’infiammazione e nella risposta immunitaria. Oltre alla sua attività antiinfiammatoria, baricitinib ha anche dimostrato attività antivirale e pertanto, potrebbe rappresentare un ulteriore alternativa terapeutica per il trattamento di COVID-19.
La disfunzione immunitaria (il fuoco amico di cui sopra) può aumentare il rischio di infezione secondaria e persino influenzare il tasso di mortalità. Camrelizumab è un anticorpo monoclonale anti PD1 (altro elemento che come le interleuchine regola l’intensità della risposta immunitaria) che ha recentemente ricevuto l’approvazione condizionata in Cina per il trattamento del linfoma di Hodgkin ed è attualmente studiato per il trattamento di altre neoplasie. Nel febbraio 2020 è stato avviato uno studio clinico, per verificare l’efficacia di camrelizumab in pazienti con polmonite grave associata a linfocitopenia da COVID-19.
Aviptadil è un analogo del polipeptide intestinale vasoattivo (Vasoactive intestinal peptide, VIP) utilizzato per il trattamento della disfunzione erettile. In uno studio sperimentale in pazienti con sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), nota complicanza dell’infezione da SARS-CoV-2, sette individui su otto in ventilazione meccanica trattati con dosi ascendenti di VIP sono stati estubati con successo.
Meplazumab è un anticorpo monoclonale IgG2 umanizzato che lega con elevata specificità CD147 proteina di membrana legata ai processi infiammatori, è in corso di valutazione nell’ambito di uno studio clinico avviato in Cina, e condotto in pazienti affetti da COVID-19. I risultati preliminari sono stati molto promettenti. Infatti, il trattamento con meplazumab ha mostrato un miglioramento della polmonite in tempi inferiori rispetto al gruppo di controllo (coloro che, pur presentando gli stessi sintomi, non avevano ricevuto il farmaco).
Un ulteriore anticorpo monoclonale in sperimentazione per il trattamento di COVID-19, è il bevacizumab, anti-VEGF (fattore di crescita delle cellule endoteliali vascolari) approvato per il trattamento di alcuni tumori. Numerosi studi hanno confermato il ruolo chiave del VEGF nella lesione polmonare acuta (ALI) e nella sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), complicanze presenti anche nei pazienti con infezione da SARS-COV-2.
Poi ci sono le immunoglobuline policlonali endovena sviluppate per il trattamento di diverse malattie, incluse le infezioni. Nelle ultime settimane è stato ipotizzato un loro utilizzo anche per il trattamento di COVID-19. Tra le strategie proposte vi è l’utilizzo di immunoglobuline purificate, o di plasma di pazienti convalescenti. Quest’ultima strategia ha già dimostrato dati preliminari di efficacia per il trattamento della SARS (severe acute respiratory syndrome) e della MERS (Middle East respiratory syndrome).
Nuove speranze contro il coronavirus vengono anche da altre due molecole come il camostat mesilato e nafamostat mesilato, entrambi approvati in Giappone per il trattamento della remissione dei sintomi acuti della pancreatite cronica. Ma come funzionano esattamente questi farmaci? Per spiegarlo gli scienziati hanno prima identificato il modo in cui il coronavirus penetra nelle cellule umane. SARS-CoV-2 è avvolto dalle cosiddette “spike” o spicole, proteine che servono al virus per afferrare e agganciarsi a un particolare recettore delle cellule umane (ACE2) invaderle e, conseguentemente replicarsi all’interno delle vie aeree portando alla malattia COVID-19. È in corso uno studio clinico, randomizzato e controllato con placebo (CamoCO-19) che valuterà l’efficacia e la sicurezza di camostat in 180 pazienti affetti da COVID-19.
Infine, buone speranze arrivano anche dall’Australia: l’antiparassitario ivermectin potrebbe essere l’arma vincente che sconfiggerà il nuovo coronavirus in 48 ore? Dalle notizie che abbiamo in effetti il farmaco potrebbe riuscire a ridurre gli effetti di SARSCov2 già nelle prime 24 ore. Era stato utilizzato in precedenza in altre epidemie e malattie come Zika e Dengue e la Febbre emorragica che colpisce soprattutto in Sudamerica. Per ora cautela: aspettiamo i risultati degli studi sperimentali che si stanno conducendo al Biomedicine Discovery Institute della Monash University di Melbourne in collaborazione con il Doherty Institute.
*Presidente Società Italiana di Farmacologia – Università di Milano.
**Società Italiana di Farmacologia – Università degli Studi della Campania Vanvitelli.