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Leucemia linfatica cronica ricaduta/refrattaria, acalabrutinib conferma il suo vantaggio a lungo termine. #EHA2020
Giovedi 9 Luglio 2020 Alessandra Terzaghi
Il trattamento con l’inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK) di nuova generazione acalabrutinib continua a dimostrarsi più efficace rispetto ai regimi standard, con un profilo di sicurezza tollerabile, in pazienti con leucemia linfatica cronica ricaduti o refrattari a trattamenti precedenti.
La conferma arriva dai risultati finali dello studio di fase 3 ASCEND, presentati in modo virtuale al congresso annuale dell'Associazione europea di ematologia, l’EHA.
Dopo un follow-up mediano di 22 mesi, la monoterapia con acalabrutinib ha dimostrato di ridurre del 73% il rischio di progressione della malattia o decesso rispetto ai regimi di confronto (bendamustina più rituximab o idelalisib più rituximab).
Inoltre, nel gruppo trattato con l’inibitore di BTK, i pazienti ancora vivi e non in progressione a 18 mesi sono risultati il 34% in più rispetto al gruppo trattato con i regimi standard.
«I risultati finali dello studio ASCEND confermano i risultati riportati l’anno scorso dopo l'analisi intermedia e dimostrano l'efficacia e la sicurezza favorevoli di acalabrutinib rispetto ai regimi di cura standard nei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante o refrattaria» ha dichiarato ai nostri microfoni l’autore principale dello studio, Paolo Ghia, Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Acalabrutinib
Acalabrutinib è già approvato in 9 Paesi, ma non ancora nell’Unione europea, per il trattamento di pazienti adulti con leucemia linfatica cronica, e in 14 Paesi per il trattamento di pazienti con linfoma a cellule mantellari già sottoposti ad almeno una terapia precedente. Nel novembre 2019 il farmaco ha avuto il via libera della Food and Drug Administration per il suo utilizzo in pazienti adulti con leucemia linfatica cronica e l’azienda che lo sta sviluppando (AstraZeneca) ha già depositato la domanda di approvazione anche alla European medicines agency.
L'approvazione delle agenzie regolatorie si è basata in parte sui risultati di un’analisi ad interim dello studio ASCEND, con un follow-up mediano di 16,1 mesi. Quest’analisi aveva evidenziato che la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) non era ancora stata raggiunta con acalabrutinib mentre era di 16,5 mesi con i regimi di confronto (HR 0,31; IC al 95% 0,20- 0.49; P < 00001), con una riduzione del 69% del rischio di progressione o morte nel braccio trattato con l’inibitore. Inoltre, a 12 mesi, l'88% dei pazienti trattati con acalabrutinib era vivo e non mostrava segni di progressione della malattia contro il 68% dei controlli.
Lo studio ASCEND
Lo studio ASCEND (NCT02970318) è uno studio multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, nel quale si è valutata l'efficacia di acalabrutinib in pazienti con leucemia linfatica cronica già trattati in precedenza, ma ricaduti o risultati refrattari a questi trattamenti.
Il trial ha arruolato in totale 310 pazienti, che sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con acalabrutinib in monoterapia (100 mg due volte al giorno) oppure con rituximab, in combinazione con idelalisib 150 mg due volte al giorno o bendamustina (70 mg/m2) a discrezione del clinico, fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità non tollerabile. In caso di progressione della malattia confermata, era consentito il crossover dal braccio di controllo al braccio sperimentale, trattato con acalabrutinib. «Nel braccio di confronto, la maggior parte dei pazienti, 119 pazienti su 155, è stata trattata con il regime chemo-free, cioè idelalisib più rituximab» ha specificato Ghia.
L'endpoint primario dello studio era la PFS, mentre gli endpoint secondari chiave comprendevano la sopravvivenza globale (OS), il tasso di risposta complessivo (ORR) e la sicurezza.
Per poter essere inclusi nello studio, i pazienti dovevano avere un'età ≥18 anni, una diagnosi di leucemia linfatica cronica come definita dall'International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia, essere già stati sottoposti a una terapia sistemica precedente per la loro malattia e avere un performance status ECOG non superiore a 2.
Invece, erano esclusi dall’arruolamento i pazienti con linfoma o leucemia del sistema nervoso centrale noti, quelli con malattie cardiovascolari significative e anche quelli che erano stati precedentemente esposti a un inibitore del B-Cell Receptor (BCR) o di Bcl-2. Il trattamento precedente con bendamustina era consentito se nello studio la scelta dello sperimentatore per il regime di confronto era rituximab più idelalisib.
Pazienti già trattati con una mediana di due terapie
I partecipanti avevano un'età mediana di 67 anni e più della metà (il 67,1%) era di sesso maschile. Inoltre, il 48,7% dei pazienti aveva una malattia ‘bulky’ di dimensioni ≥ 5 cm. Per quanto riguarda i trattamenti precedenti, i partecipanti avevano già fatto una mediana di due precedenti linee di terapia, il 48,1% era già stato sottoposto a una linea di terapia, il 27,7% a due linee, il 13,2% a tre linee e l'11,0% a quattro o più linee.
La maggior parte dei pazienti era stata trattata in precedenza con agenti alchilanti diversi dalla bendamustina (85,2%) seguiti da anticorpi monoclonali anti-CD20 (nell’80,3% dei casi) e da analoghi delle purine (nel 68,7%).
Miglioramento significativo della PFS con acalabrutinib
«Nell’analisi finale dello studio, con un follow-up di quasi 2 anni, si conferma che acalabrutinib è in grado di aumentare la PFS rispetto ai due trattamenti di confronto» ha ribadito Ghia.
Nell’analisi presentata al congresso EHA, con un follow-up mediano di 22 mesi, la PFS mediana non è stata raggiunta (NR) nel braccio acalabrutinib, mentre è risultata di 16,8 mesi nel braccio di controllo (HR 0,27, P < 0,0001). Quando il braccio di controllo è stato suddiviso nei due sottogruppi, quello trattato con rituximab più idelalisib e quello trattato con rituximab più bendamustina, la PFS mediana è risultata rispettivamente di 16,2 mesi e 18,6 mesi.
Inoltre, «La PFS a 18 mesi è risultata dell'82% nel braccio trattato con acalabrutinib contro 48% nel braccio di confronto, con un netto vantaggio, dunque, a favore dell’inibitore di BTK» ha aggiunto il professore.
Dopo un follow-up mediano di 22 mesi, l’OS mediana e la durata della risposta (DOR) mediana non sono state raggiunte con acalabrutinib.
Con acalabrutinib prolungamento della PFS anche in pazienti ad alto rischio
«Un aspetto interessante emerso dallo studio è che anche i pazienti con caratteristiche genetiche sfavorevoli ottengono lo stesso beneficio di PFS da acalbrutinib rispetto a quelli con caratteristiche più favorevoli» ha sottolineato Ghia.
Le analisi sui sottogruppi hanno dimostrato, infatti, che acalabrutinib ha prolungato la PFS anche in pazienti ad alto rischio, come quelli con la delezione (17p) e in quelli i cui tumori presentavano mutazioni di TP53 o IGHV non mutate. Nel braccio acalabrutinib, gli sperimentatori hanno calcolato un HR per la PFS pari a 0,11 (IC al 95% 0,04-0,34) nei pazienti con la delezione (17p) e mutazioni di TP53 contro un HR pari a 0,29 (IC al 95% 0,19-0,45) in quelli senza mutazioni; inoltre, nel sottogruppo con IGHV non mutate, l'HR è risultato pari a 0,28 (IC al 95% 0,18-0,43) contro 0,30 (IC al 95% 0,12-0,76) nel sottogruppo con IGHV mutate.
L’inibitore di BTK ha anche dimostrato di prolungare la PFS rispetto al regime di confronto in tutti i sottogruppi analizzati previsti dal protocollo.
Durata della risposta superiore con acalabrutinib
Per quanto riguarda le risposte, la DOR è risultata più lunga con acalabrutinib rispetto al controllo. In particolare, la DOR mediana non è stata raggiunta nel braccio trattato con l’inibitore di BTK, mentre è risultata di 18 mesi con il regime di confronto (HR 0,19; IC 95%, 0,11-0,33). Anche il tasso di DOR stimato a 18 mesi è risultato più alto con acalabrutinib rispetto al confronto: 85,4% contro 49,4%.
Acalabrutinib ben tollerato
Il trattamento con acalabrutinib è risultato ben tollerato «a aggiungendo 6 mesi di follow-up il profilo di sicurezza non è cambiato, a suggerire che anche prolungando l’esposizione al farmaco la sua tollerabilità non diminuisce» ha detto Ghia.
Le incidenze degli eventi avversi di grado ≥3 (eventi avversi), degli eventi avversi severi, degli eventi avversi correlati al trattamento, delle interruzioni del trattamento, nonché delle variazioni di dosaggio sono risultate tutte più alte con idelalisib più rituximab rispetto ad acalabrutinib o bendamustina più rituximab.
«Da sottolineare che la maggioranza dei pazienti, circa il 60% trattati con idelalisib più rituximab ha dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi, mentre nel braccio trattato con acalabrutinib solo il 14%» ha rimarcato Ghia.
L’incidenza degli eventi avversi di qualsiasi grado è stata del 96% nel gruppo acalabrutinib contro 99% e 80% nei pazienti trattati con rituximab in associazione rispettivamente con idelalisib o bendamustina, mentre gli eventi avversi di grado ≥3 hanno avuto un’incidenza rispettivamente del 55%, 90% e 49%. Eventi avversi di grado 5 sono stati riportati in 10 pazienti del braccio acalabrutinib, contro sei nel braccio rituximab più idelalisib e tre nel braccio rituximab/bendamustina.
Gli eventi avversi di qualsiasi grado più comuni, riportati da almeno il 15% dei pazienti trattati con l’inibitore di BTK sono stati mal di testa (22%), neutropenia (21%), diarrea (20%) e infezione delle vie respiratorie superiori (20%), mentre quelli più comuni di grado 3 o superiore sono stati neutropenia (17%), anemia (16%) e polmonite (13%).
«Il mal di testa è un effetto collaterale tipici di acalabrutinib, si verifica all’inizio del trattamento, ma tende a sparire nel giro di 2-3 settimane» ha precisato il professore.
Gli eventi avversi gravi riportati in almeno il 5% dei pazienti sono stati polmonite (6% con acalabrutinib; 10% con rituximab più idelalisib e 3% con rituximab più bendamustina), diarrea (rispettivamente 1%, 14% e 0%) e piressia (rispettivamente 1%, 7% e 3%).
«Se ci concentriamo sugli eventi tipici degli inibitori della BTK, quelli di interesse clinico, i dati sono estremamente interessanti, tenendo conto che il setting è quello di pazienti ricaduti o refrattari: si p registrato solo un 6% di fibrillazione atriale, meno di un terzo dei pazienti, il 29%, ha avuto episodi emorragici, che nella stragrande maggioranza dei casi sono stati di lieve entità, i sanguinamenti maggiori sono stati solo il 3% e non ci sono stati casi di emorragia intracranica» ha specificato Ghia.
Gli episodi di sanguinamento di qualsiasi tipo sono stati più comuni nel braccio trattato con acalabrutinib. Tuttavia, l'incidenza dei sanguinamenti maggiori è stata bassa e comparabile nei diversi bracci dello studio.
In conclusione
«Nel complesso, i risultati dimostrano che ora abbiamo un secondo inibitore di BTK (il primo è ibrutinib, ndr), che si è dimostrato estremamente efficace, anche con un follow-up che inizia a essere sufficientemente lungo, quasi 2 anni; i dati dimostrano che anche la sicurezza e tollerabilità di acalabrutinib si mantengono nel lungo termine, con un’esposizione di ben 6 mesi in più rispetto all’analisi precedente» ha concluso Ghia.
«Il farmaco non è ancora disponibile in Italia, ma proprio i risultati di questo studio, e a quelli di un altro trial, lo studio ELEVATE-TN, nel quale il farmaco è stato testato come terapia di prima linea, serviranno come base per la richiesta di approvazione del farmaco all’autorità regolatoria, per avere il farmaco a disposizione in Europa e, a seguire, anche in Italia» ha aggiunto il professore.
P. Ghia, et al. Acalabrutinib vs idelalisib plus rituximab (IDR) or bendamustine plus rituximab (BR) in relapsed/refractory (R/R) chronic lymphocytic leuemia (CLL): ASCEND final results. EHA 2020; abstract S159
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