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Gestione del paziente con epilessia: il processo decisionale alla luce del mondo reale. Congresso LICE2020
Giovedi 5 Novembre 2020 Arturo Zenorini
Il processo decisionale nella gestione di pazienti con epilessia è stato l’argomento del simposio “Dall’esperienza all’evidenza clinica: alla scoperta di nuove sinergie” che si è tenuto nel corso della 43a edizione del Congresso Nazionale Lice (Lega Italiana Lotta contro l’Epilessia). «Per sinergie» spiega Emilio Perucca, dell’Università di Pavia, «si intendono quelle tra medici, personale sanitario, pazienti e ricercatori».
Quanto al processo decisionale, specifica il clinico, questo deve adattarsi a tutta una serie di realtà come quelle che il Covid-19 ha imposto (come lo sviluppo della telemedicina), all’accumularsi di informazioni tratte dalla real world evidence così come ai risultati dello studio Brivafirst condotto in Italia con brivaracetam che ha reclutato un numero elevato di pazienti. Tutti argomenti sono stati discussi durante l’incontro.
1-Impatto della telemedicina nella pratica clinica
Oriano Mecarelli, neurologo all’Università Sapienza di Roma, ha evidenziato come l’interesse del settore scientifico verso la telemedicina sia esponenzialmente in aumento, in particolare in questo ultimo anno per la pandemia del Covid-19. «L’esperienza nei Centri per l’epilessia nei primi mesi di quest’anno è quella di una riduzione molto drastica negli ambulatori con tutte le attività procrastinate e le visite e i follow-up eseguiti spesso con sistemi in qualche modo artigianali di telemedicina». «Una survey recente» riporta Mecarelli «ha interrogato 172 epilettologi/neurologi/neuropediatri di 35 nazioni ed è molto interessante osservare come prima del Covid-19 fosse rilevante il non utilizzo dei sistemi di controllo da remote o istituzionalmente o con metodi personali e quanto invece durante il Covid-19 la situazione si sia ribaltata» (fig.1).
1a-Il grado di soddisfazione dei pazienti
È interessante interrogarsi anche sulla soddisfazione dei pazienti verso questo nuovo approccio. «Uno studio di un Centro terziario tedesco ha evidenziato la soddisfazione dei pazienti per queste nuove modalità di comunicazione, pur augurandosi i pazienti stessi che, in un futuro non lontano, si possa tornare alle modalità di visita tradizionale» riporta il neurologo. Anche in Italia è stata effettuati una survey online per testare l’opinione dei pazienti – pubblicata a un mese esatto dall’inizio del lockdown - su 456 persone con epilessia e 472 persone senza epilessia. «Il dato da sottolineare è che indubbiamente le persone con epilessia hanno manifestato difficoltà in relazione alla loro terapia nel 37% dei casi, durante il 1° mese del lockdown, ma il 71% di questi è riuscito a mettersi in contatto con il neurologo di riferimento (per telefono, per mail) e a risolverli, ribadendo l’utilità di questi mezzi di telemedicina».
1b-Le opportunità di impiego per lo specialista e il paziente
Secondo Mecarelli, da una necessità, la telemedicina deve passare a un’importante opportunità. «Sostanzialmente la telemedicina in epilettologia può essere vista sotto tre aspetti fondamentali» spiega: «1) la televisita; 2) self-management (App, portal dedicati, devices indossabili); 3) teleconsulto tra medici e scambio di neuroimmagini» dichiara Mecarelli. «La televisita, pur con dei limiti, permette l’esame obiettivo neurologico e i controlli successivi. Quanto all’EEG, può essere effettuatio al domicilio del paziente o al laboratorio più vicino e poi condiviso». Riguardo all’automonitoraggio, esistono già portali elettronici per le persone con epilessia che aiutano sia la presa di coscienza del paziente che l’interazione da remoto tra clinico e paziente». Quanto ai devices wereable, «ne esistono molti in commercio, unimodali o multimodali, basati o non basati sull’EEG, e dovrebbero servire per valutare il rischio del paziente, la fisiopatologia della malattia ed evitare la SUDEP. Si discute molto sulla loro utilità ma le evidenze di real life sono ancora molto basse». In ogni caso, dal dialogo con le Istituzioni è nato il Piano Triennale per l’informatica pubblica italiana, che prevede di privilegiare modalità assistenziali da remoto. Inoltre, conclude Mecarelli, un Gruppo di lavoro coordinato dal Centro nazionale per la telemedicina dell’Istituto Superiore di Sanità sta scrivendo in tempi brevi un Documento di consenso basato sull’indirizzo della teleneurofisiologia clinica.
2-Il Real World in epilettologia
«La real world significa avere di fronte – nella pratica ambulatoriale/ospedaliera quotidiana - un paziente affetto da epilessia ed essere chiamati a prendere decisioni cliniche» dichiara Simona Lattanzi, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del Policlinico Universitario delle Marche. «Si tratta di un paziente complesso, da sottoporre a una valutazione multidimensionale per puntare poi all’outcome più importante che è la qualità della vita».
2a-I pro e i contro degli RCT
«Quindi real world si traduce tutti i giorni in un processo di decision making ed è molto importante conoscere quali siano le sorgenti di dati alle quali attingere per cercare di poter fare la migliore decisione clinica» afferma la specialista. «La letteratura scientifica rappresenta sicuramente una fonte fondamentale per ottenere informazioni da spendere poi nell’attività assistenziale. In questo senso c’è un assoluto e unanime accordo che gli studi randomizzati controllati (RCT) rappresentino oggi il gold standard per dimostrare l’efficacia e la sicurezza di un farmaco nella popolazione». È noto che gli studi randomizzati controllati registrativi nell’ambito dell’epilessia abbiano degli indubbi vantaggi: una validità interna molto alta in termini di rigore scientifico, qualità metodologica e basso rischio di fattori di confondimento (bias). «Tuttavia, gli studi RCT presentano dei limiti: hanno una ridotta validità esterna, conseguenza dei criteri di inclusione particolarmente rigidi e selettivi, così come una ridotta o assente flessibilità o possibilità di individualizzare gli schemi terapeutici di fronte al singolo paziente. Un altro limite da considerare è la durata del trattamento, che negli studi randomizzati è molto ridotta per una patologia come l’epilessia che è spesso cronica e richiede terapie durature».
2b-Dall’efficacy-based all’effectiveness-based approach
Per cui, se sicuramente gli studi RCT nascono per portare le risposte che le Agenzie regolatorie impongono per portare all’autorizzazione in commercio di un farmaco e sono sicuramente lo strumenti che abbiamo per dimostrare l’efficacia di un farmaco, la loro utilità per guidare la pratica clinica per certi versi può essere limitata. «Quindi» sottolinea Lattanzi «un aspetto importante è scegliere tra un efficacy-based approach e un effectiveness-based approach. Il primo, quello degli RCT, vuole valutare i benefici di un trattamento in condizioni estremamente controllate e quasi ideali mentre il secondo, con un approccio pragmatico, vuole esaminare gli outcome di un intervento in condizioni e in circostanze che si avvicinino il più possibili al real world, cioè alla pratica clinica normale, usando un protocollo meno rigido».
2c- Le potenzialità del Real World Data e del Real World Evidence
«Per Real World Data, secondo una definizione della Fda, si intendono tutti quei dati legati alla condizione di salute di un paziente così come vengono raccolti nella routine e la Real World Evidence è quell’evidenza che si basa sull’analisi dei Real World Data» ricorda la specialista. «La Real World Evidence» prosegue Lattanzi «offre indubbiamente dei vantaggi nell’ambito dell’epilettologia, garantendo, per esempio, dei follow-up più lunghi, rispetto a quelli degli studi RCT, e dei simple size più ampi e rappresentativi dei pazienti che i clinici sono soliti trattare nei propri ambulatori». D’altro canto, «la Real World Evidence ha anche grossi limiti, tra cui la ridotta validità interna e l’alto rischio di bias, sia nella selezione che nella valutazione degli outcome». In altre parole, il problema principale è essere sicuri che ogni differenza che si identifica nell’analisi dei risultati degli outcome sia effettivamente una differenza dovuta a un effetto diverso del farmaco e non a differenze che esistevano già nelle caratteristiche al baseline dei pazienti. In ogni caso, afferma la specialista, «la Real World Evidence nell’ambito dell’epilettologia potenzialmente ha un grosso spazio, cioè quello di rispondere a quei quesiti che gli RCT, per come nascono e per la finalità con cui nascono, non sono in grado di rispondere».
• Uso di disegni pragmatici e comparativi
• Selezione di outcome rilevanti
• Lunghezza appropriata dei follow-up
• Controllo per bias e fattori di confondimento
• Analisi per abbinamento secondo punteggio di propensione
• Uso di cartella cliniche elettroniche
• Potere sufficiente per dimostrare differenze statisticamente significative
• Reclutamento multicentrico
• Lavoro in network
Tab. 1 – Metodi per migliorare la qualità degli studi Real-World in epilettologia.
3-Lo studio BRIVAFIRST: la sfida di un network
«Considerando l’importanza di lavorare in network e di avere studi che siano di dimensione campionaria adeguata, lo studio BRIVAFIRST rappresenta sicuramente uno sforzo importante in questa direzione» dichiara Perucca, collegandosi a quanto sottolineato da Lattanzi e aprendo una serie di comunicazioni sullo studio nazionale condotto con il farmaco antiepilettico brivaracetam.
3.1-Obiettivi, metodi, outcome
“Brivaracetam Add-On First Italian Network Study”. Questo il titolo di «uno studio che ha previsto un lavoro di network molto accurato, grazie al quale si è realizzato uno studio retrospettivo multicentrico che ha coinvolto pazienti consecutivi riferiti a 62 tra ospedali e Centri di epilessia» afferma Carlo Di Bonaventura, dirigente medico neurologo del Policlinico Umberto I di Roma. «L’obiettivo primario era valutare l’efficacia e la tollerabilità a 12 mesi di brivaracetam in add-on in pazienti con epilessia e sono stati inclusi tutti i pazienti che avessero iniziato la terapia tra il marzo 2018 e l’aprile 2020». Sono stati raccolti i dati demografici, clinici e della storia farmacologica, il tipo di crisi e di epilessia e la frequenza delle crisi al basale. «Ognuno ha poi utilizzato brivaracetam secondo le indicazioni di casa madre e la propria esperienza». Sono stati valutati i pazienti a 3, 6 e 12 mesi «e naturalmente lo studio ha previsto degli outcome: 1) la risposta alle crisi (cioè la riduzione pari o superiore al 50% della frequenza delle crisi rispetto al baseline); 2) la libertà da crisi (scomparsa totale delle crisi durante il follow-up); 3) la sospensione del trattamento; 4) la comparsa di eventi avversi». Sono stati sottoposti a screening 1.292 pazienti», ma i dati presentati al simposio si riferiscono a una coorte di 941 soggetti che hanno completato i 12 mesi di follow-up. Analizzando le caratteristiche di base dei pazienti, Di Bonaventura sottolinea la quota dei soggetti sopra i 65 anni che ammonta al 15,7% e una discreta quota di early add-on (passaggio considerato particolarmente informativo per l’effectiveness e per la tollerabilità).
3.2-I risultati generali
«A 12 mesi di follow-up» - riferisce Di Bonaventura - «con un dosaggio medio di brivaracetam di 175 mg/die, è apprezzabile la risposta alle crisi (35,8%) e ancora più entusiasmante la libertà dalle crisi, che sfiora il 17%, un dato che ricalca abbastanza i dati di ulteriori studi Real World, ma caratterizzati da minore potenza statistica». (fig, 2)
«Analizzando il time trend» - prosegue - «sia della risposta della crisi che della libertà da crisi c’è un andamento incrementale dal 3° al 12° mese mentre, per il peggioramento delle crisi, una risposta decrementale». Gli autori hanno poi analizzato una serie di fattori che potessero essere coinvolti nella libertà da crisi a 12 mesi, prendendo in considerazione: età, sesso, età all’insorgenza dell’epilessia, numero di farmaci precedenti, farmaci concomitanti e frequenza delle crisi mensile al basale. «I principali predittori sono risultati i seguenti» spiega l’esperto. «L’insorgenza dell’epilessia a un’età più alta era predittiva di una buona risposta, così come un minor numero di farmaci prima dell’introduzione di brivaracetam e la frequenza delle crisi al baseline». La sospensione del trattamento si è osservata nel 26,6% dei casi (più frequenti nella prima fase, a 3 mesi). Gli eventi avversi si sono avuti nel 27,6% dei casi (quasi sempre lievi o moderati e solo in una trascurabile parte severi); I più frequenti sono stati sonnolenza/sedazione (18,1%) e fatigue (9,3%) ma nel complesso sono stati disturbi limitati.
3.3-Analisi per sottogruppi
Lattanzi ha presentato alcune analisi per sottogruppi della popolazione totale analizzata. Le popolazioni analizzate sono 1) la early add-on, cioè soggetti trattati con brivaracetam e che avessero ricevuto nella propria storia clinica solo uno o due antiepilettici; 2) levetiracetam status (a seconda della precedente esposizione del paziente al levetiracetam); 3) elderly (popolazione con età maggiore o uguale a 65 anni). Tutti i risultati delle analisi per sottogruppi fanno riferimento al follow-up a 12 mesi.
3.3.1-Early add-on
«La popolazione early add-on risultava essere trattata a un dosaggio giornaliero mediano (100 mg) significativamente inferiore alla controparte no early add-on» riferisce Lattanzi. «Molto elevata è risultata la risposta alle crisi, con un 56,1% nel gruppo early add-on rispetto al 32,0% della popolazione no early add-on, e un tasso di libertà da crisi del 37,2% contro un tasso del 12,2% nella popolazione no early add-on. Anche in termini di ritenzione la popolazione early add-on ha riportato un tasso migliore, con sospensione del farmaco nel 15,5% dei casi contro il 28,6% della controparte no early add-on».
3.3.2-Levetiracetam status
Molto rilevante la seconda sottoanalisi - anche perché oggetto di accesso dibattito clinico – riguardante l’utilizzo del brivaracetam a seconda della sua precedente esposizione al levetiracetam. «La popolazione è stata suddivisa in due gruppi: pazienti naïve al levetiracetam e un gruppo con precedente assunzione ed eventuale sospensione del farmaco o switch a brivaracetam» afferma la neurologa. Anche in questo caso la popolazione non naive risultava essere trattata con un dosaggio mediano giornaliero (200 mg) superiore rispetto alla popolazione naïve (150 mg). «In termini di efficacia, la popolazione naïve ha mostrato un’incidenza significativamente superiore, rispetto alla controparte, di risposta alla crisi (46,0% vs 31,9%) e libertà da crisi (22,8% vs 14,1%)» afferma Lattanzi. Uno step successivo per comprendere meglio la popolazione con precedente esposizione a levetiracetam è stato indagare le motivazioni che avevano portato i pazienti a sospendere il farmaco, identificando le popolazioni con sospensione per inefficacia o per problemi di tollerabilità. «Anche nella popolazione in cui levetiracetam si era dimostrato inefficace il brivaracetam in add-on risulta in un tasso di risposta alla crisi prossimo al 30% e un tasso di libertà da crisi prossimo al 10%. Analizzando le caratteristiche della popolazione che aveva sospeso il levetiracetam per inefficacia, tale popolazione era caratterizzata da una epilessia intrinsecamente più severa».
3.3.3-Elderly
«La popolazione elderly è un sottogruppo particolarmente presente nei pazienti ambulatoriali mentre spesso è solo parzialmente inclusa negli studi registrativi» ricorda Lattanzi. Nel campione analizzato nel BRIVAFIRST l’età massima dei pazienti arrivava a 86 anni. Al follow-up dei 12 mesi la popolazione anziana era trattata con un dosaggio marcatamente inferiore (mediano di 125 mg/die) rispetto alla popolazione non anziana (mediano: 200 mg/die). «In termini di risposta alle crisi e libertà da crisi i risultati sono stati migliori nella popolazione elderly con un tasso rispettivamente di oltre il 45% e di oltre il 30% con una differenza statisticamente significativa rispetto alla popolazione non elderly» riferisce la specialista. Anche il tasso di sospensione è risultato marcatamente inferiore nella popolazione elderly rispetto alla controparte. «Importante anche il profilo di tollerabilità, in una popolazione che spesso assume altri farmaci ed è affetta da altre patologie: non si è osservata una differenza evidente nell’incidenza di eventi avversi tra le due sottopopolazioni con un trend verso un maggior rischio di eventi avversi nella popolazione non elderly. Il trattamento risulta dunque ben tollerato anche in questi soggetti più fragili» conclude Lattanzi.
4.4-Gli elementi più rilevanti della ricerca
Umberto Aguglia, Professore Ordinario di Neurologia presso la Scuola di Medicina dell'Università Magna Grecia di Catanzaro e direttore del centro Regionale Epilessie presso l'Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria, rimarca alcuni aspetti che emergono con una certa importanza relativi all’efficacia e alla tollerabilità. «Il farmaco si è dimostrato efficace, soprattutto quando utilizzato come primo add-on, con oltre un terzo dei pazienti che diventa libero da crisi, anche se usato a dosaggio non molto alto, per esempio 100-125 mg/die, e anche negli anziani in cui è molto meglio tollerato» riassume Aguglia. «Un altro aspetto importante è che anche chi ha ricevuto in precedenza levetiracetam ma non avuto una risposta non ottimale o per inefficacia o per scarsa tollerabilità può beneficiare dell’utilizzo del brivaracetam». Riguardo alla tollerabilità, Aguglia ricorda che «gli eventi avversi sono presenti in poco più di un terzo dei pazienti. Ovviamente sono più incidenti nei giovani rispetto agli anziani che assumono una dose minore e quindi meglio tollerata. Si è osservato che il profilo di tollerabilità si prospetta soprattutto entro i primi tre mesi dove sono più alti il numero di eventi avversi e il tasso di sospensione». Nel complesso, osserva Aguglia, emerge un profilo di tollerabilità rimarchevole.
3.5 L’assenza di interazioni con altri antiepilettici
Pietro Pignatta, responsabile della Neurologia e dell’ambulatorio di Epilessia dell’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino, afferma che «sicuramente l’esperienza dell’early add-on è stata la migliore in quanto spesso si ha la tendenza di impiegare un nuovo farmaco in pazienti che si sono rivelati resistenti a decine di molecole precedenti, con scarsa probabilità di successo. Si ha invece un migliore polso della situazione con un add-on piuttosto precoce, come primo o al massimo secondo add-on. Un altro aspetto rilevante, in questo caso» aggiunge Pignatta «è che si impiega come primo add-on un farmaco che ha un meccanismo d’azione diverso». Quanto a particolari sinergie, prosegue, non ne sono state osservate. «Vale la pena di osservare invece il rovescio della medagla, perché non solo non è stato notato qualche sinergismo ma nemmeno un incremento di effetti collaterali – specie comportamentali - particolarmente esacerbati da altri farmaci, anche di recente introduzione e con diversi meccanismi d’azione» sottolinea il neurologo. «Quindi, rimane l’indicazione a usare brivaracetam in un early add-on molto precoce, potendolo accoppiare con tranquillità con qualsiasi farmaco in commercio, avendo anche la facilità di una titolazione praticamente nulla».
3.6 L’elevato tasso di ritenzione nei pazienti anziani
La propria esperienza con i pazienti più anziani, soprattutto in relazione alla gestione delle comorbilità, è descritta da Valentina Chiesa, neurologo al Centro Epilessia dell’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano. «Nell’anziano brivaracetam si conferma come un farmaco molto maneggevole. Abbiamo rilevato nello studio osservazionale retrospettivo un’elevata efficacia in pazienti che al momento dell’inizio del trattamento avevano una storia di epilessia già lunga alle spalle». Chiesa afferma di essere rimasta sorpresa dal tasso di ritenzione molto elevato (85%) in quanto si tratta di una sottopopolazione piuttosto fragile, prona a sviluppare effetti avversi. «Inoltre non sono state rilevate alterazione ematologiche o strumentali né interazioni con altri farmaci» prosegue Chiesa. «Per cui brivaracetam è un farmaco da tenere in considerazione in questa popolazione delicata in cui spesso altri farmaci possono risultare controindicati».
3.7 Le migliori modalità dello switch da levetiracetam
Il tema dello switch da levetiracetam e brivaracetam è affrontato da Giovanni Boero, responsabile dell’ambulatorio di epilessia presso l’Ospedale SS. Annunziata di Taranto. «È opportuno passare da levetiracetam a brivaracetam quando il primo non è stato tollerato o non è stato efficace» ribadisce Boero. Ma qual è il modo migliore per effettuare lo switch? «Dalla mia pratica quotidiana, risulta assolutamente sicuro lo switch overnight» dichiara. «Questa mia impressione ho voluta confrontarla con i dati in possesso nel BRAVEFIRST. Nel gruppo SUD A, vi erano circa 150 pazienti di cui circa 50 hanno fatto lo switch e di questi 50 pazienti ben 41, quindi quasi la totalità, ha fatto lo switch overnight. I risultati sono ottimi perché nessuno di questi pazienti è uscito dallo studio né per una recrudescenza degli effetti collaterali né per un peggioramento delle crisi. Inoltre, andando a osservare i pazienti che hanno effettuato lo switch per effetti collaterali – che di questi 41 sono 18 – nessun paziente ha avuto un peggioramento degli effetti collaterali e nella maggior parte dei casi, anzi (con specifico riferimento all’irritabilità) c’è stato un netto miglioramento. Quindi» conclude Boero «i dati dello studio in mio possesso hanno corroborato la mia impressione clinica precedente che, se si intende effettuare lo switch da levetiracetam a brivaracetam, è molto più comoda e sicura una modalità overnight».
TAKE HOME MESSAGES
• Brivaracetam è risultato efficace e ben tollerato in un’ampia popolazione di pazienti con epilessia in modo predominante farmaco-resistente in un setting clinico del mondo reale
• Non sono comparsi effetti collaterali inattese in un anno di follow-up
• Si è osservata maggiore efficacia quando brivaracetam è stato usato come terapia aggiuntivi precoce (early add-on therapy)
• Il trattamento con brivaracetam può essere di beneficio per i pazienti che hanno avuto precedenti esposizione e fallimento al levetiracetam
• Il brivaracetam ha mostrato buona tollerabilità ed efficacia nella popolazione anziana