La calprotectina potrebbe fungere da valido biomarcatore del sangue di severità di malattia nei pazienti con fibrosi polmonare idiopatica. E’ quanto suggeriscono I risultati di uno studio recentemente pubblicato su BMJ Open Respiratory Research.

Razionale e disegno dello studio
I test di funzione polmonare rappresentano gli strumenti standard per valutare la progressione di malattia in presenza di IPF. Tuttavia, il loro impiego si accompagna a vulnus rilevanti, quali la variabilità di rilevazione tra pazienti, la scarsa sensibilità alle variazioni, e le difficoltà di acquisizione.

Sono queste le ragioni che spingono alla ricerca di biomarcatori non invasivi alternativi da utilizzare per la valutazione della severità di IPF e la progressione di malattia.


Calprotectina è una proteina prodotta dai neutrofili del sangue, che si pensa abbiano un ruolo nella patogenesi di malattia. Calprotectina è stata studiata come biomarcatore e target di trattamento in diverse condizioni mediche, compresa l’attività di malattia delle malattie infiammatorie intestinali.

Un team di ricercatori svizzeri del Policlinico Universitario di Berna ha deciso di studiare l’associazione esistente tra i livelli ematici di calprotectina e la severità di malattia in pazienti con IPF, allo scopo di determinare un possibile ruolo della proteina come biomarcatore di malattia.

Lo studio ha incluso 26 volontari sani (età media: 47,6 anni) e 26 pazienti con IPF (età media: 69,6 anni). Per validare i risultati, il team di ricerca ha analizzato anche un gruppo indipendente di 66 pazienti iberici con IPF (età media: 71,3 anni).

I pazienti del gruppo elvetico e iberico si caratterizzavano per una storia di tabagismo di più lunga durata rispetto ai controlli sani, e per un maggiore deterioramento dei parametri di funzione polmonare.
Sono stati misurati e messi a confronto i livelli ematici di calprotectina tra i volontari sani e i pazienti con IPF. Sono stati valutati alcuni parametri clinici, compresi i predittori fisiologici di PF per misurare la severità di malattia e la sopravvivenza.

Tra i predittori inclusi vi erano la FVC, la FEV1, la DLCO e un indice composito fisiologico (CPI) per valutare l’effetto combinato di ciascun predittore individuale.

Risultati principali
Dallo studio è emerso che i livelli ematici di calprotectina era significativamente più elevati nei pazienti con IPF rispetto ai controlli sani (2,47 vs. 0,97 mcg/ml) e correlavano con la severità di malattia, misurata da DLCO e CPI, in entrambi i gruppi di pazienti con IPF. Anche dopo aggiustamento dei dati in base all’età e al sesso di appartenenza i risultati sono rimasti gli stessi.

Non solo: nel gruppo di pazienti elvetici, quelli con livelli ematici più elevati di calprotectina (uguali o superiori a 2,85 mcg/ml) hanno mostrato un peggioramento deciso della sopravvivenza – mortalità 6,1 volte più elevata rispetto ai controlli.

Nel gruppo di validazione, invece, i livelli più elevati di calprotectina – uguali o superiori a 3,78 mcg/ml) non erano in grado di discriminare in maniera significativa la mortalità a lungo termine (aumento del rischio pari a 1,54 volte).

Riassumendo
Nel complesso, lo studio ha dimostrato che “i livelli sierici più elevati di calprotectina si trovano nei pazienti con IPF rispetto ai controlli sani e mostrano una correlazione significativa con la severità di malattia misurata da DLCO e CPI – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro”.

Pur sottolineando la necessità di conferme di quanto osservato in studi ulteriori, “…i risultati dello studio – aggiungono – suggeriscono un ruolo potenziale della calprotectina come biomarcatore ematico di severità di malattia nell’IPF”.

Nicola Casella

Bibliografia
Machahua C et al. Serum calprotectin as new biomarker for disease severity in idiopathic pulmonary fibrosis: a cross-sectional study in two independent cohorts. BMJ Open Respiratory Research 2021
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