Acromegalia: studio italiano dimostra efficacia della strategia terapeutica con analoghi ad alte dosi e alta frequenza
Mercoledi 24 Maggio 2017
Un nuovo studio italiano recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista americana The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha stabilito l'efficacia di un nuovo approccio terapeutico che consiste in un trattamento ad alte dosi o ad alta frequenza dei tradizionali analoghi della somatostatina. La ricerca è stata presentata all'ECE2017, il congresso degli endocrinologi europei che si è appena chiuso a Lisbona.
Buone notizie per la malattia descritta per la prima volta dall’anatomico e psichiatra italiano Andrea Verga che nel 1864, la denominò “prosopectasia” (dal greco: prospon: faccia e ektasis: allargamento, stiramento) descrivendo il cranio di una paziente caratterizzato da uno spiccato prognatismo.
Un nuovo studio italiano recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista americana The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha stabilito l’efficacia di un nuovo approccio terapeutico che consiste in un trattamento ad alte dosi o ad alta frequenza dei tradizionali analoghi della somatostatina. La ricerca è stata presentata all'ECE2017, il congresso degli endocrinologi europei che si è appena chiuso a Lisbona. Nonostante i protocolli di trattamento dell’acromegalia siano consolidati ed efficaci, da un terzo al 50% dei pazienti non risponde adeguatamente alla terapia medica e non raggiunge un buon controllo della malattia.
Un nuovo studio italiano recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista americana The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha stabilito l’efficacia di un nuovo approccio terapeutico che consiste in un trattamento ad alte dosi o ad alta frequenza dei tradizionali analoghi della somatostatina. La ricerca è stata presentata all'ECE2017, il congresso degli endocrinologi europei che si è appena chiuso a Lisbona. Nonostante i protocolli di trattamento dell’acromegalia siano consolidati ed efficaci, da un terzo al 50% dei pazienti non risponde adeguatamente alla terapia medica e non raggiunge un buon controllo della malattia.
In Italia si stima che l'acromegalia colpisca circa 180 persone l'anno, per un totale di 2.500 soggetti affetti. Ma si ritiene che la malattia sia sotto diagnosticata e, dunque, i casi potrebbero essere molti di più.
Gli obiettivi della terapia sono ridurre lo sviluppo del tumore ipofisario che è causa dell’eccesso di ormone della crescita, ridurre la secrezione di GH (growth hormone) e normalizzare la produzione di IGF-1. L’Insulin Like Growth Factor – 1 infatti è responsabile di manifestazioni cliniche come la crescita eccessiva di tessuto connettivo, cartilagine, osso e altri organi interni come il cuore oltre ad essere un fattore di crescita noto per essere correlato al rischio tumorale.
Attualmente nella terapia si utilizzano con successo i nuovi analoghi della somatostatina nella forma ‘long acting’ (a lunga durata di azione) come l’octreotide LAR e il lanreotide autogel. Quest’ultimo ha mostrato di ridurre le dimensioni del tumore ipofisario in più della metà dei pazienti in terapia “primaria”.
Ma per i cosiddetti ‘partial responder’ è necessario correggere il tiro così come indagato nella ricerca pubblicata su Journal of Clinical Endocrinology Metabolism che ha confermato l’efficacia della somministrazione ad alte dosi (HD) o ad alta frequenza (HF) di lanreotide autogel. Più nel dettaglio la ricerca ha preso in esame un campione di 30 pazienti con acromegalia in fase attiva nel corso di 24 settimane e li ha dividi in due gruppi: 15 sono stati assegnati al trattamento con 120 mg per 21 giorni e gli altri 15 al trattamento con 180 mg ogni 28 giorni (HD). La speranza dei ricercatori era ottenere la normalizzazione dei livelli di IGF-1 e di GH oltre a valutare la sicurezza e la tollerabilità del nuovo approccio.
“L’analisi dei dati alla fine del periodo di osservazione ha confermato il raggiungimento degli obiettivi” afferma il Professor Andrea Giustina, Presidente Eletto della European Society of Endocrinology “in maniera brillante per ciò che riguarda il controllo sierico dell’IGF-1, diminuito più significativamente nel gruppo assegnato alla terapia ad alta dose rispetto a quelli ad alta frequenza anche se la normalizzazione si è verificata nel 27,6% dei pazienti in maniera omogenea tra i due gruppi. Nonostante 19 pazienti abbiamo sperimentato effetti collaterali, questi sono stati lievi e transitori, distribuiti in entrambi i bracci terapeutici”.
Il termine acromegalia deriva dalla lingua greca e significa letteralmente estremità (akros) grandi (megas). Si tratta di una sindrome clinica, che si determina dopo anni di prolungata esposizione dell’organismo a elevati livelli circolanti di ormone della crescita o growth hormone (GH) e del suo mediatore periferico: l’insulin like growth factor tipo 1 (IGF-1).
"L'acromegalia è generalmente causata da un tumore benigno dell'ipofisi: l’ipersecrezione ormonale è in oltre il 99% dei casi sostenuta da un adenoma ipofisario che produce ormone della crescita e si riscontra in genere tra i 30 e i 40 anni, anche se una produzione eccessiva di ormone della crescita può verificarsi a qualunque età” spiega Ezio Ghigo Professore Ordinario di Endocrinologia, Università degli Studi di Torino e tra i firmatari dello studio “E' una malattia subdola perché nella maggior parte dei casi viene diagnosticata casualmente: le trasformazioni hanno un andamento lento e progressivo e i sintomi risultano spesso sfumati".
"L’aumento nel volume scheletrico di mani, piedi e ossa del volto non è solo morfologico, la malattia infatti genera un aumento del volume anche degli organi interni come fegato, rene e cuore” continua il professor Giustina “Di conseguenza si manifestano gravi malattie cardiovascolari, come la cardiomegalia, che comporta l'aumento della massa ventricolare, e l'ipertensione; e frequentemente anche malattie metaboliche, dalla semplice intolleranza al glucosio fino ad arrivare al diabete mellito. L'aspettativa di vita media per i pazienti acromegalici non trattati adeguatamente non a caso è più bassa della media (si aggira intorno ai 60 anni).
Le malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e respiratorie, tra gli effetti derivanti dai livelli elevati di GH, determinano una percentuale di mortalità di circa 2-3 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale. Se l'acromegalia è affrontata con terapie adeguate, comunque, la mortalità nei pazienti acromegalici torna simile a quella della popolazione generale. La mortalità per causa acromegalica è legata per il 60% ad accidenti cardiovascolari, per il 25% a patologia respiratoria e per il 15% circa a neoplasia”.
J Clin Endocr Metab 2017 apr 17 doi: 10.1210/jc.2017-00142