corriere.it/salute/pediatria 22/02/18
TIPICA DI CERTE ZONE D’ITALIA
Favismo, quell’«allergia letale» alle fave
di Vera Martinella
La vicenda più recente è di pochi giorni fa: un bimbo di due anni ricoverato d’urgenza al Policlinico Sant’Orsola di Bologna per aver mangiato pasta e fave al nido. Potenzialmente mortale, specialmente nei bambini, eppure curabilissima se la si riconosce, il favismo sarebbe protagonista perfetto di una puntata della serie tv del «dottor House». Al centro della storia, infatti, c’è un difetto genetico, la carenza da glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD): chi ne è portatore, se mangia le fave, rischia la vita. Una malattia rara in generale, ma più diffusa in certe zone del mondo, tra le quali parti d’Italia.
Una malattia «vecchissima» e non tanto rara
Potrebbe essere stato persino Pitagora, più noto per le sue doti matematiche e il relativo teorema che come medico, a scoprire per la prima volta nel V secolo avanti Cristo che le fave potevano essere molto pericolose, persino letali, per alcuni esseri umani. A questa patologia, meno rara di quanto si creda, la prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine ha recentemente dedicato un articolo, firmato da due dei maggiori esperti sul tema, gli italiani Lucio Luzzatto e Paolo Arese.
Una storia da «manuale» di medicina al primo anno
Come mai un legume ricco di proteine possa essere anche un killer è una vicenda scritta nei manuali che si studiano al primo anno di medicina: la chiave sta nella genetica di chi mangia le fave.«Già il poeta e filosofo Lucrezio aveva scritto che “quello che è buon cibo per alcuni, può essere un veleno per altri” – sottolinea Luzzatto, docente di Ematologia presso l’Università di Muhimbili a Dar-es-Salaam in Tanzania (Africa) -. Le fave, ottime per molti, possono così essere mortali per le persone che hanno un’anomalia genetica di un enzima presente nei globuli rossi del sangue. Questo enzima, il G6PD, è essenziale per il corretto funzionamento e la sopravvivenza dei globuli rossi. E l’anomalia non è rara in diverse parti dell’Italia (Sardegna, delta del Po, alcune aree del Sud) e anche in altre popolazioni, comprese quelle qui portata dai flussi migratori (come i paesi dell’Africa Sub-Sahariana o vaste aree del Sud-Est Asiatico)».
Una storia da «manuale» di medicina al primo anno
Come mai un legume ricco di proteine possa essere anche un killer è una vicenda scritta nei manuali che si studiano al primo anno di medicina: la chiave sta nella genetica di chi mangia le fave.«Già il poeta e filosofo Lucrezio aveva scritto che “quello che è buon cibo per alcuni, può essere un veleno per altri” – sottolinea Luzzatto, docente di Ematologia presso l’Università di Muhimbili a Dar-es-Salaam in Tanzania (Africa) -. Le fave, ottime per molti, possono così essere mortali per le persone che hanno un’anomalia genetica di un enzima presente nei globuli rossi del sangue. Questo enzima, il G6PD, è essenziale per il corretto funzionamento e la sopravvivenza dei globuli rossi. E l’anomalia non è rara in diverse parti dell’Italia (Sardegna, delta del Po, alcune aree del Sud) e anche in altre popolazioni, comprese quelle qui portata dai flussi migratori (come i paesi dell’Africa Sub-Sahariana o vaste aree del Sud-Est Asiatico)».
Carenza di G6PD e fave, chi è in pericolo?
«La carenza di G6PD (o enzimopenia G6PD), dovuta a una mutazione del rispettivo gene, non è mai completa – spiega Paolo Arese, che è professore emerito di Biochimica all’Università di Torino -. Per fortuna la G6PD residua, talvolta anche meno del 10%, è sufficiente per i fabbisogni di base delle cellule: perciò in generale le persone G6PD enzimopeniche non hanno sintomi e stanno benissimo. I problemi avvengono quando queste persone non sono consapevoli del loro difetto genetico e mangiano le fave, che contengono quantità elevate di due sostanze chimiche (vicina e convicina) le cui proprietà sono quelle di agenti ossidativi potenti. Nei soggetti normali la G6PD presente nei globuli rossi li difende efficacemente dall’ “attacco ossidativo”. Se invece la G6PD è carente i globuli rossi vengono distrutti: si ha cioè un’anemia acuta, in una parola il favismo».
Quante persone ne soffrono e perché è presente solo in certe zone?
«Non esistono numeri certi perché non ci sono registri che cataloghino i casi– chiarisce Luzzatto, che la lavorato anche al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York e all’Istituto Toscano Tumori -, ma si stima che nel mondo ci siano almeno 500 milioni di persone con enzimopenia G6PD, che predispone al favismo ma non è di per sé una malattia. La stragrande maggioranza di loro, ad esempio in Africa tropicale, non mangia mai fave perché non vengono coltivate in quelle aree. Il favismo è invece frequente in Medio Oriente, Nord Africa e parti dell’Asia meridionale, dove si hanno probabilmente migliaia di casi ogni anno. Il motivo per cui la carenza di G6PD ha una caratteristica distribuzione geografica è interessante: l’enzimopenia G6PD, nelle donne eterozigoti, è protettiva nei confronti della malaria e per questo è presente dovunque la malaria è stata o è tuttora endemica. Ecco perché in Italia, ad esempio, è più comune non solo in Sardegna, ma anche nel Delta padano e in alcune zone Meridione».
Quali sono cibi o altri fattori pericolosi?
«Le fave sono l’unico cibo che dà il favismo – risponde Arese -: gli altri legumi non contengono vicina e che possano scatenare anemia è una leggenda da sfatare al più presto. Proprio come il falso mito relativo ai pollini emessi dalle piante di questi legumi: non c’è alcun pericolo nel camminare in mezzo a un campo di fave, basta non mangiarle. Invece è importante sapere che alcune infezioni acute (ad esempio epatite, polmonite lobare) e alcuni farmaci (quali primachina e rasburicasi, usati rispettivamente per il trattamento della malaria e per iperuricemia, cioè l’eccesso si acido urico nel sangue) possono causare un’anemia, anche grave, in persone con carenza di G6PD».
Quali sono i sintomi e cosa fare se compaiono?
Nella maggior parte dei casi il paziente è un bambino maschio tra i 2 e i 10 anni, che viene portato al pronto soccorso perché pallido, presenta itterizia, ha forti mal di pancia e spesso febbre. «La crisi si manifesta improvvisamente, da 12 a 48 ore dopo l’ingestione di cibi o farmaci a rischio– chiarisce Luzzatto-. L’anemia acuta causa, infatti, un grave indebolimento, tachicardia, dolori addominali urine scure, ittero . Occorre intervento medico immediato, quando un bimbo (ma anche un adulto) mostra questi segnali è sempre meglio andare in ospedale senza temporeggiare».
Quali sono le cure?
Se l’anemia non è grave, il trattamento sarà solo di supporto idratazione e monitoraggio parametri vitali. Mentre se è grave, il trattamento trasfusionale è d’obbligo. «Sovente sono necessarie più trasfusioni nei primi giorni di ricovero il cui numero varia a seconda della gravità dell’anemia, che spesso può richiedere il ricovero in ambiente semi-intensivo per alcuni giorni – precisa Luzzatto -. Per fortuna, dopo trattamento corretto la guarigione dal favismo è rapida e completa: il paziente viene dimesso con l’imperativo di non mangiare più fave, mentre può assumere altri legumi come fagiolini, fagioli o ceci».
Quando si muore per favismo?
«L’attacco di favismo è pericoloso soprattutto nei bambini – risponde Luzzatto -: in meno di 24 ore possono venire distrutti i due terzi dei globuli rossi del sangue. Se viene fatta diagnosi corretta e iniziata tempestivamente la cura (una trasfusione di sangue) l’attacco viene superato, senza problemi. La malattia può essere fatale solo se non viene riconosciuta o se non si procede subito al trattamento».
Come si trasmette?
Il difetto enzimatico si trasmette ereditariamente con il cromosoma X del sesso: i maschi ne sono colpiti in forma grave mentre le femmine, che sono portatrici del gene anomalo e possono trasmetterlo ai propri figli, si ammalano di forme più lievi.
Si può prevenire?
«Sì, e la Sardegna ne è un buon esempio – dice Luzzatto -. Nell’isola fino agli anni Settanta il favismo era assai frequente, poi grazie allo screening neonatale e all’informazione, la popolazione è avvertita e la maggior parte delle persone enzimopeniche si trattiene dal magiare fave. Queste misure preventive hanno funzionato e ora i casi di favismo sono pochi all’anno. E’, insomma, assai raro che arrivi al pronto soccorso un paziente che ha bisogno di una trasfusione urgente». A questo proposito la Società Italiana Talassemie Emoglobinopatie e Anemie rare (SITE) ha sviluppato un documento di rapida consultazione per poter rispondere alle domande più frequenti collegate alla patologia, dedicato a pazienti, medici del territorio e farmacisti.