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Leo Pharma scommette sui biologici e le malattie rare
Riposizionarsi sul mercato con farmaci innovativi, rafforzando l’impegno “tradizionale” nel campo dei prodotti topici. L’azienda danese specializzata in dermatologia cambia pelle con una strategia di lungo periodo, che guarda anche alle malattie rare. A colloquio con Paolo Pozzolini, country lead della filiale italiana. Dal numero 165 del magazine. *IN COLLABORAZIONE CON LEO PHARMA
Consolidare la presenza nel mercato dei farmaci topici per sostenere la sfida della competitività nel campo dei biologici. È la doppia scommessa di LEO Pharma, l’azienda danese specializzata in dermatologia che punta a riposizionarsi sul mercato con una strategia di lungo periodo. Guardando anche a nuovi orizzonti, come quello delle malattie rare. Ne abbiamo parlato con Paolo Pozzolini (in foto), country lead di LEO Pharma Italia.
Al suo arrivo in azienda, nel settembre 2017, disse “LEO Pharma cambia pelle”. A che punto siete?
“Cambiare pelle” è un’espressione che si addice alla nostra mission, che è quella di far in modo che le persone vivano con una pelle sana grazie alle soluzioni che portiamo ai pazienti. Ma ci siamo dati anche l’obiettivo di “cambiare pelle” dal punto di vista delle opportunità di mercato. Abbiamo lanciato una strategia a lungo termine (2020-2025) che ci vede impegnati nella sfida dell’innovazione e del posizionamento nel mercato dei farmaci biologici. Una sfida complessa, perché è un mercato affollato. Per questo ci stiamo attrezzando con risorse e competenze. A breve sarà pienamente operativa la nuova business unit chiamata “Bioderma”, che includerà diverse competenze, tra cui il market access. Finora abbiamo giocato un ruolo da protagonisti nel settore dei farmaci topici, dove forse la dimensione dell’accesso è importante ma non critica. Ma nel settore dei biologici l’accesso al mercato è probabilmente una delle dimensioni più complesse. Da qui la necessità di sviluppare un’unità organizzata differenziata, con competenze che fino a ieri mancavano a LEO Pharma. A una tradizione consolidata, la ricerca in dermatologia, integriamo una nuova cultura di accesso al mercato indispensabile per il nuovo modello di business.
È in arrivo in Italia brodalumab, il vostro primo farmaco biologico per la psoriasi a placche da moderata a severa. Il primo di una lunga serie?
Il primo step è portare brodalumab sul mercato. Speriamo di renderlo disponibile ai pazienti italiani nel primo trimestre 2019. Ma nella nostra pipeline fioriscono opportunità che riguardano il settore dei biologici, sia sistemici, che topici. Dopo brodalumab, puntiamo inoltre alla dermatite atopica severa, un mercato un po’ meno affollato rispetto a quello della psoriasi. S’ipotizza per il 2021 l’approvazione di una nostra molecola (tralokinumab) da parte dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema).
Con un accordo con la californiana PellePharm debuttate nelle malattie rare, cosa dobbiamo aspettarci?
Ci spingiamo oltre il recinto dei farmaci biologici e topici. Nel campo della malattie rare c’è una ricerca intensa, che meriterebbe anche partnership pubblico-privato per favorire lo sviluppo di nuove terapie. Con PellePharm abbiamo chiuso un accordo di collaborazione per una serie di prodotti, in particolare per uno, ora in fase III, destinato al trattamento di malattie rare come la sindrome di Gorlin e il carcinoma basocellulare a elevata ricorrenza. Ma al di là dell’accordo strategico è importante sottolineare la visione che c’è dietro questa mossa.
L’estate scorsa LEO Pharma ha siglato un accordo per acquisire alcuni prodotti Bayer. Rafforzate il business “tradizionale”?
L’accordo Bayer sui prodotti più “tradizionali” del nostro business è fondamentale per spingere la crescita e avere più risorse a disposizione per alimentare la R&S nel settore dei biologici e dei farmaci orfani. Abbiamo fortemente bisogno di consolidare la nostra leadership nella dermatologia “classica”. Acquisire i farmaci dermatologici su prescrizione di Bayer è stato un successo importante poiché questi prodotti s’integreranno perfettamente con il nostro portfolio. Ci daranno ancora più autonomia per sostenere l’innovazione.
Un accordo globale che avrà un impatto particolare in Italia?
Sì, è un accordo chiuso a livello globale mentre, nel nostro Paese, il closing è previsto il primo luglio 2019. Il fatto che ci rende molto orgogliosi è che, grazie a questo accordo acquisiamo anche lo stabilimento di produzione di Segrate (MI), che conta circa 200 dipendenti. Non solo avremo nuovi colleghi, ma ci arricchiremo di competenze speciche nel settore manifatturiero.
L’azienda sta compiendo un’evoluzione a 360 gradi. Lo dimostrano anche le iniziative della LEO Foundation?
È necessaria una premessa. La governance di LEO Pharma è diversa. In passato ho lavorato in aziende dove a guidare le scelte del management era la necessità di valorizzare le azioni in borsa. LEO Pharma, invece, è guidata dalla LEO Foundation. Una fondazione che non risente di queste dinamiche. Questa peculiarità ci consente di investire tutti i prodotti dell’azienda in strategie a lungo termine, come quella 2020-2025 dei biologici. L’ultimo atto della LEO Foundation è stato la creazione di un centro per la ricerca e sviluppo in collaborazione con l’Università di Copenaghen. Ma nella capitale danese è attivo anche “iLab”, entità sganciata dal modello commerciale, la cui missione è sviluppare soluzioni digitali innovative, ad esempio app o strumenti per screening e diagnosi, che guardino ai bisogni del paziente. Inteso non solo come paziente, ma soprattutto come persona.