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Sanità e Politica
Gimbe, otto rimedi per salvare il “paziente” Ssn
Dalla 14esima conferenza nazionale di Bologna la fondazione rinnova l’allarme sullo stato di salute del Servizio sanitario nazionale e propone un “piano terapeutico” per invertire la rotta
8 marzo 2019
Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) può essere paragonato a un paziente in codice rosso, da curare con “terapie” efficaci e appropriate prima che sia troppo tardi. A dirlo è la Fondazione Gimbe, che ha celebrato oggi a Bologna la sua 14esima conferenza nazionale. Gli acciacchi principali del nostro sistema sono, secondo Gimbe, sono almeno quattro: il progressivo definanziamento della sanità pubblica, un “paniere” di Livelli essenziali di assistenza (Lea) poco sostenibile, espansione “incontrollata” del secondo pilastro (fondi e assicurazoni, ndr), sprechi e inefficienze. Ad aggravare il quadro due “fattori ambientali”. Da un lato, “la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute (ulteriormente minata dal contagioso virus del regionalismo differenziato). Dall’altro, le “aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione”.
Il “piano terapeutico” Gimbe
“Per mantenere un Ssn a finanziamento prevalentemente pubblico, preservandone i princìpi di equità e universalismo – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – abbiamo elaborato ed aggiornato secondo le migliori evidenze scientifiche un ‘piano terapeutico personalizzato’ efficace nel modificare la storia naturale delle quattro malattie, minimizzare l’impatto dei fattori ambientali e intervenire su altri “patogeni” che minano la salute del Ssn”.
Otto rimedi
In sintesi, Gimbe lancia otto proposte per salvare “il paziente Ssn”:
- Rilancio del finanziamento pubblico. Sganciare il finanziamento pubblico dal Pil, il cui aumento è legato alla salute e al benessere della popolazione, incrementando il Fsn di una percentuale annua minima pari almeno al doppio dell’inflazione. Occorre inoltre uscire fuori dal perimetro del Fsn, sia rivalutando il sistema delle detrazioni fiscali per spese sanitarie, fondi sanitari integrativi e welfare aziendale, sia definendo un fabbisogno socio-sanitario nazionale dove far confluire le risorse oggi destinate ad alcune spese sociali (es. indennità di accompagnamento, invalidità civile) e fondi per le politiche sociali (es. fondo per la non autosufficienza).
- Aumento delle capacità di verifica dello Stato sulle Regioni. Modificare i criteri di riparto del Fsn, prevedendo una quota fissa da destinare a costi standard di personale sanitario e di beni e servizi e una quota variabile vincolata ad adempimenti Lea secondo il nuovo sistema di garanzia con meccanismi bonus/malus a valere sul riparto dell’anno successivo: questo permetterebbe gradualmente anche di superare gli attuali Piani di rientro. Inderogabile la riforma degli enti vigilati favorendo sinergie ed evitando duplicazioni sia tra gli enti, sia con le direzioni generali del ministero della Salute.
- Piano nazionale contro gli sprechi. È indispensabile allineare a cascata i sistemi premianti a tutti i livelli del Ssn, utilizzare criteri di rimborso value-based e favorire i processi di disinvestimento e riallocazione rendendo più flessibili tetti di spesa e budget.
- Definizione dei Lea. I Lea devono essere informati da un piano nazionale per la valutazione di tutte le tecnologie sanitarie, idealmente gestito da un ente indipendente. Aifa dovrebbe mantenere il solo ruolo di agenzia regolatoria.
- Riordino sanità integrativa. Definire le prestazioni Lea ed extra-Lea che possono/non possono essere coperte dai fondi sanitari integrativi, limitando le agevolazioni fiscali alle prestazioni extra-Lea e regolamentare i rapporti tra fondi sanitari integrativi e compagnie assicurative.
- Politiche per il personale. È tempo di un contratto unico per il personale medico del Ssn, oltre che di introdurre la “revalidation” per tutti i professionisti sanitari.
- Integrazione pubblico-privato e regolamentazione libera professione. Stabilire un tetto massimo delle risorse del riparto regionale che possono essere destinate al privato accreditato. Necessario definire una consistente indennità di esclusività del rapporto pubblico, rendendo incompatibile la progressione di carriera con l’attività extramoenia.
- Ricerca comparativa indipendente. Identificare le aree grigie e finanziare la ricerca comparativa indipendente al fine di includere ed escludere prestazioni sanitarie nei Lea. Prevedere meccanismi premiali per le Regioni che investono in ricerca indipendente per rispondere a quesiti di interesse nazionale.
“Dopo 40 anni – conclude Cartabellotta – è tempo di acquisire una reale e piena consapevolezza del bene più prezioso di cui dispone il nostro Paese. Un Ssn che si prende cura della nostra salute e che, in qualità di ‘azionisti di maggioranza’, siamo tenuti a tutelare. La sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta”.
Federsanità Anci, i rischi del regionalismo differenziato
Un rischio per l’universalismo e l’equità del Ssn è – secondo Tiziana Frittelli, presidente di Federsanità Anci – la richiesta di maggiore autonomia da parte di alcune Regioni: “Autonomia regionale sì o no? La proposta fatta da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto – commenta Frittelli intervenendo alla conferenza Gimbe – ci espone a un rischio gravissimo per la nostra democrazia, cioè legare il diritto alla salute, diritto di base di cittadinanza, alla capacità di gettito fiscale”. Servono dei paletti: “Non bisogna però ignorare che questa richiesta nasce dalla constatazione che la gestione centrale della sanità, negli ultimi anni, non è riuscita a risolvere la crisi economica che sta attraversando il nostro Ssn. Per queste ragioni – conclude la presidente di Federsanità Anci – la mia risposta è un sì ma a determinate condizioni: una programmazione e un coordinamento forte a livello di governo centrale che ‘indirizzi’ queste autonomie”.