Trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche nella miastenia grave, un case report dalla Svezia
«Noi crediamo che il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (AHSCT) possa essere un'opzione terapeutica efficace per casi accuratamente selezionati di severa miastenia grave (MG) refrattaria al trattamento». È la conclusione di un case report, pubblicato on-line su “Neuromuscolar disorders”, relativo al successo ottenuto su una donna che, a due anni dall'intervento, sta conducendo una vita attiva.
20 novembre 2016 |
«Noi crediamo che il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (AHSCT) possa essere un'opzione terapeutica efficace per casi accuratamente selezionati di severa miastenia grave (MG) refrattaria al trattamento». È la conclusione di un case report, pubblicato on-line su “Neuromuscolar disorders”, relativo al successo ottenuto su una donna che, a due anni dall’intervento, sta conducendo una vita attiva.
«La MG è una malattia autoimmune caratterizzata da una reattività autoimmunitaria rivolta contro la placca post-sinaptica della giunzione neuromuscolare» ricordano gli autori, coordinati da Irene Håkansson, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del Dipartimento di Neurologia di Linköping (Svezia). Oltre al trattamento sintomatico con anticolinesterasici, molti pazienti richiedono anche un trattamento immunomodulante».
Gli autori descrivono il caso di una paziente con grave MG refrattaria a corticosteroidi, quattro immunosoppressori orali, ciclofosfamide, rituximab e bortezomib, e che è stata trattata con AHSCT. «Due anni dopo» sottolineano «la paziente è notevolmente migliorata nei test oggettivi e nella qualità della vita e conduce una vita attiva. L’unico sintomo rimasto è la diplopia mentre non assume alcuno dei farmaci indicati per questa patologia».
Soggetto di sesso femminile, con malattia diagnosticata all’età di 26 anni
La paziente è una donna che aveva ricevuto la diagnosi di MG all’età di 26 anni, quando presentava come sintomi diplopia, ptosi palpebrale e debolezza agli arti. L’iter diagnostico aveva rivelato autoanticorpi diretti al recettore dell’acetilcolina (aAChr), una riduzione patologica alla stimolazione ripetitiva nervoso e un test positivo all’edrofonio.
Sempre all’età di 26 anni venne effettuata una timectomia con approccio sovrasternale. A causa dei sintomi persistenti correlati alla patologia fu sottoposta a timectomia trans-sternale all’età di 36 anni con rimozione del tessuto timico rimanente. In entrambe le occasioni, l’istologia del timo evidenziò un’iperplasia timica senza segni di timoma.
Il trattamento con piridostigmina fu iniziato al momento della diagnosi e continuò lungo tutti gli anni successivi. Per lungo tempo i sintomi miastenici della paziente furono ragionevolmente ben controllati mediante piridostigmina, in combinazione intermittente con corticosteroidi. La donna era in grado di lavorare part-time come infermiera, di partorire e di allevare un bambino.
Nel corso degli anni la gravità della patologia variò dalla classe II alla classe III MGFA (Myasthenia Gravis Foundation of America). A causa della debolezza ingravescente, fu iniziato un trattamento con azatioprina all’età di 52 anni. Ciò nonostante i sintomi peggiorarono ulteriormente con l’andare del tempo e la paziente arrivò a essere trattata con piridostigmina, prednisolone, azatioprina e, a intermittenza, con immunoglobuline intravenose o plasmaferesi.
Cure sempre più intense ma costante peggioramento nel corso degli anni
Quando questo approccio giunse al fallimento la paziente ricevette anche successivi trattamenti con sirolimus, ciclosporina, ciclofosfamide, rituximab, micofenolato mofetile e bortezomib. Nessun trattamento standard né alcun trattamento immunomodulatore più avanzato portò a un miglioramento sostenuto.
La donna ebbe inoltre bisogno molte volte di ricovero a causa delle ripetute crisi causata della patologia, alcune delle quali determinavano insufficienza respiratoria che necessitava di ventilazione assistita in un’unità cure intensive.
All’età di 63 anni la paziente sperimentava solo un sollievo moderato e di breve durata dalla plasmaferesi, effettuata in serie di 5 trattamenti con solo poche settimane di intervallo tra un trattamento e l’altro. La sua dose di piridostigmina era giunta a 120 mg 5 volte al giorno e inoltre assumeva prednisolone 10 mg al giorno, presentava una severa miastenia generalizzata e riferiva una qualità di vita molto scarsa.
A questo punto venne suggerita e discussa con la paziente l’eventualità dell’AHSCT. La paziente fu d’accordo e l’intervento venne effettuato all’età di 64 anni.
L’ultima speranza a 64 anni: il trapianto autologo di staminali ematopoietiche
Le cellule staminali ematopoietiche periferiche furono mobilizzate con rituximab iv (375 mg/m2 al giorno 0) e filgrastim 1,5 ME/kg sc ai giorni 1-4. Venne somministrato prednisone al giorno 0 (40 mg) e ai giorni 1-4 (25 mg). Una leucaferesi per la raccolta delle cellule staminali ematopoietiche è stata eseguita al giorno 4. Non è stata effettuata manipolazione ex vivo dell’innesto.
Come trattamento di condizionamento chemioterapico ad alte dosi (BEAM) è stata somministrata camustina 300 mg/m2 iv al giorno -7; dal giorno -6 al -3 quotidianamente citarabina 200 mg/m2 iv ed etoposide fosfato 200 mg/m2 iv; melfalan 140 mg7m2 iv al giorno -2 e ATG (anticorpi antitimociti) 2,5 mg/kg/die al giorno -1. Al giorno 0 vennero infuse 2,2 x 10 alla sesta/kg cellule CD34+. L’innesto con ANC (conta assoluta dei neutrofili)>0,5 x 10 alla nona/L e nessuna ulteriore necessità di trasfusione di piastrine è stato ottenuto al giorno +11. Fece seguito il normale follow-up ematologico.
Il quadro clinico dopo la dimissione: il ritorno a una vita indipendente
Quando la paziente venne dimessa al proprio domicilio 3 settimane dopo il trapianto la sua patologia era già migliorata e la sua dose di piridostigmina drasticamente ridotta. Un mese e mezzo dopo il trapianto, la donna riferiva una buona qualità di vita. Sei mesi dopo il trapianto la paziente riferiva una qualità di vita molto buona, la dose di piridostigmina era solo di 10 mg 1 volta al giorno e i livelli di anticorpi contro l’acetilcolina era di 3,1 nmol/L.
Dieci mesi dopo il trapianto la paziente non assumeva più alcun farmaco e riferiva sempre un’ottima qualità di vita. Ai mesi 19 e 24 post-trapianto, la paziente descriveva la sua qualità di vita come eccellente e affermava di vivere una vita attiva e indipendente. L’unico sintomo rimasto era la diplopia.
Altre applicazioni e principali vantaggi della tecnica
«L’AHSCT è un trattamento ben definito per molte patologie maligne ematologiche e in sindromi di immunodeficienza» affermano gli autori. «È usata in modo crescente come ultima risorsa per trattare gravi malattie autoimmuni. Questo approccio determina una ricostituzione del sistema immunitario ed elimina l’autoimmunità».
«In campo neurologico» sottolineano Håkansson e colleghi «questo approccio si è dimostrato molto efficace anche nel trattamento della sclerosi multipla attiva infiammatoria, con risoluzione completa in molti casi».
«Rispetto al trapianto allogenico, quello autologo non richiede un donatore compatibile e non dà problemi di rigetto» proseguono. «Il nostro case report è la seconda pubblicazione relativa all’AHSCT per MG e ricalca il risultato positivo di un altro centro su un paziente più anziano che aveva tentato ancora più regimi di trattamento prima del trapianto».
«L’outcome qui presentato offre ulteriori prove preliminari che l’AHSCT è un’opzione terapeutica efficace per casi accuratamente selezionati di MG refrattaria al trattamento» concludono Håkansson e colleghi.
Giorgio Ottone
Håkansson I, Stansted A, Lundin F, et al. Successful autologous haematopoietic stem cell transplantation for refractory myasthenia gravis – a case report. Neuromusc Disord, 2016 Sep 28. [Epub ahead of print]
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«La MG è una malattia autoimmune caratterizzata da una reattività autoimmunitaria rivolta contro la placca post-sinaptica della giunzione neuromuscolare» ricordano gli autori, coordinati da Irene Håkansson, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del Dipartimento di Neurologia di Linköping (Svezia). Oltre al trattamento sintomatico con anticolinesterasici, molti pazienti richiedono anche un trattamento immunomodulante».
Gli autori descrivono il caso di una paziente con grave MG refrattaria a corticosteroidi, quattro immunosoppressori orali, ciclofosfamide, rituximab e bortezomib, e che è stata trattata con AHSCT. «Due anni dopo» sottolineano «la paziente è notevolmente migliorata nei test oggettivi e nella qualità della vita e conduce una vita attiva. L’unico sintomo rimasto è la diplopia mentre non assume alcuno dei farmaci indicati per questa patologia».
Soggetto di sesso femminile, con malattia diagnosticata all’età di 26 anni
La paziente è una donna che aveva ricevuto la diagnosi di MG all’età di 26 anni, quando presentava come sintomi diplopia, ptosi palpebrale e debolezza agli arti. L’iter diagnostico aveva rivelato autoanticorpi diretti al recettore dell’acetilcolina (aAChr), una riduzione patologica alla stimolazione ripetitiva nervoso e un test positivo all’edrofonio.
Sempre all’età di 26 anni venne effettuata una timectomia con approccio sovrasternale. A causa dei sintomi persistenti correlati alla patologia fu sottoposta a timectomia trans-sternale all’età di 36 anni con rimozione del tessuto timico rimanente. In entrambe le occasioni, l’istologia del timo evidenziò un’iperplasia timica senza segni di timoma.
Il trattamento con piridostigmina fu iniziato al momento della diagnosi e continuò lungo tutti gli anni successivi. Per lungo tempo i sintomi miastenici della paziente furono ragionevolmente ben controllati mediante piridostigmina, in combinazione intermittente con corticosteroidi. La donna era in grado di lavorare part-time come infermiera, di partorire e di allevare un bambino.
Nel corso degli anni la gravità della patologia variò dalla classe II alla classe III MGFA (Myasthenia Gravis Foundation of America). A causa della debolezza ingravescente, fu iniziato un trattamento con azatioprina all’età di 52 anni. Ciò nonostante i sintomi peggiorarono ulteriormente con l’andare del tempo e la paziente arrivò a essere trattata con piridostigmina, prednisolone, azatioprina e, a intermittenza, con immunoglobuline intravenose o plasmaferesi.
Cure sempre più intense ma costante peggioramento nel corso degli anni
Quando questo approccio giunse al fallimento la paziente ricevette anche successivi trattamenti con sirolimus, ciclosporina, ciclofosfamide, rituximab, micofenolato mofetile e bortezomib. Nessun trattamento standard né alcun trattamento immunomodulatore più avanzato portò a un miglioramento sostenuto.
La donna ebbe inoltre bisogno molte volte di ricovero a causa delle ripetute crisi causata della patologia, alcune delle quali determinavano insufficienza respiratoria che necessitava di ventilazione assistita in un’unità cure intensive.
All’età di 63 anni la paziente sperimentava solo un sollievo moderato e di breve durata dalla plasmaferesi, effettuata in serie di 5 trattamenti con solo poche settimane di intervallo tra un trattamento e l’altro. La sua dose di piridostigmina era giunta a 120 mg 5 volte al giorno e inoltre assumeva prednisolone 10 mg al giorno, presentava una severa miastenia generalizzata e riferiva una qualità di vita molto scarsa.
A questo punto venne suggerita e discussa con la paziente l’eventualità dell’AHSCT. La paziente fu d’accordo e l’intervento venne effettuato all’età di 64 anni.
L’ultima speranza a 64 anni: il trapianto autologo di staminali ematopoietiche
Le cellule staminali ematopoietiche periferiche furono mobilizzate con rituximab iv (375 mg/m2 al giorno 0) e filgrastim 1,5 ME/kg sc ai giorni 1-4. Venne somministrato prednisone al giorno 0 (40 mg) e ai giorni 1-4 (25 mg). Una leucaferesi per la raccolta delle cellule staminali ematopoietiche è stata eseguita al giorno 4. Non è stata effettuata manipolazione ex vivo dell’innesto.
Come trattamento di condizionamento chemioterapico ad alte dosi (BEAM) è stata somministrata camustina 300 mg/m2 iv al giorno -7; dal giorno -6 al -3 quotidianamente citarabina 200 mg/m2 iv ed etoposide fosfato 200 mg/m2 iv; melfalan 140 mg7m2 iv al giorno -2 e ATG (anticorpi antitimociti) 2,5 mg/kg/die al giorno -1. Al giorno 0 vennero infuse 2,2 x 10 alla sesta/kg cellule CD34+. L’innesto con ANC (conta assoluta dei neutrofili)>0,5 x 10 alla nona/L e nessuna ulteriore necessità di trasfusione di piastrine è stato ottenuto al giorno +11. Fece seguito il normale follow-up ematologico.
Il quadro clinico dopo la dimissione: il ritorno a una vita indipendente
Quando la paziente venne dimessa al proprio domicilio 3 settimane dopo il trapianto la sua patologia era già migliorata e la sua dose di piridostigmina drasticamente ridotta. Un mese e mezzo dopo il trapianto, la donna riferiva una buona qualità di vita. Sei mesi dopo il trapianto la paziente riferiva una qualità di vita molto buona, la dose di piridostigmina era solo di 10 mg 1 volta al giorno e i livelli di anticorpi contro l’acetilcolina era di 3,1 nmol/L.
Dieci mesi dopo il trapianto la paziente non assumeva più alcun farmaco e riferiva sempre un’ottima qualità di vita. Ai mesi 19 e 24 post-trapianto, la paziente descriveva la sua qualità di vita come eccellente e affermava di vivere una vita attiva e indipendente. L’unico sintomo rimasto era la diplopia.
Altre applicazioni e principali vantaggi della tecnica
«L’AHSCT è un trattamento ben definito per molte patologie maligne ematologiche e in sindromi di immunodeficienza» affermano gli autori. «È usata in modo crescente come ultima risorsa per trattare gravi malattie autoimmuni. Questo approccio determina una ricostituzione del sistema immunitario ed elimina l’autoimmunità».
«In campo neurologico» sottolineano Håkansson e colleghi «questo approccio si è dimostrato molto efficace anche nel trattamento della sclerosi multipla attiva infiammatoria, con risoluzione completa in molti casi».
«Rispetto al trapianto allogenico, quello autologo non richiede un donatore compatibile e non dà problemi di rigetto» proseguono. «Il nostro case report è la seconda pubblicazione relativa all’AHSCT per MG e ricalca il risultato positivo di un altro centro su un paziente più anziano che aveva tentato ancora più regimi di trattamento prima del trapianto».
«L’outcome qui presentato offre ulteriori prove preliminari che l’AHSCT è un’opzione terapeutica efficace per casi accuratamente selezionati di MG refrattaria al trattamento» concludono Håkansson e colleghi.
Giorgio Ottone
Håkansson I, Stansted A, Lundin F, et al. Successful autologous haematopoietic stem cell transplantation for refractory myasthenia gravis – a case report. Neuromusc Disord, 2016 Sep 28. [Epub ahead of print]
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